Dallas Buyers Club

Dallas Buyers Club (Jean-Marc Vallée, 2013)

Dallas Buyers Club, il giro di boa di McConaughey.

Matthew McCounaghey è senz’altro l’attore del momento. Il suo leggendario cameo in The Wolf Of Wall Street meriterebbe un premio ancora non previsto dalle più importanti istituzioni cinematografiche, che per fortuna lo hanno almeno candidato in toto per il ruolo di attore protagonista in Dallas Buyers Club (in cui ricalca nei primi minuti del lungometraggio il cowboy 2.0 delineato in Killer Joe), il nuovo film del regista canadese Jean-Marc Vallée (già autore del delizioso racconto di formazione C.R.A.Z.Y.) che mette a dura prova un eclettismo oggi maturo.

Tratto da una storia vera, narra dell’assurda vicenda che vide Ron Woodroof passare da una comune diagnosi di pochi mesi di vita dopo aver contratto l’HIV alla creazione di un traffico parallelo di farmaci alternativi per la cura di una malattia che all’epoca dei fatti era imbolsita in partenza in un pantano di pregiudizi culturali, fatalismo esistenziale e l’osceno opportunismo delle grandi case farmaceutiche.

Se la tematica non è nuova, anzi è già oggetto di una sterminata filmografia sovente invero sconsideratamente pietista, quello che rende Dallas Buyers Club un vero gioiello è la capacità di evocare il potenziale metamorfico della più terribile delle malattie in una verosimile epica degli sconfitti.

Nel machista Texas, Woodroof è un elettricista che vive in una roulotte e passa il tempo tra ogni tipo di sostanza, miriadi di puttane e scommesse clandestine ai rodei locali. Dopo aver scoperto di aver contratto il virus in un rapporto eterosessuale non protetto, gli crolla il mondo addosso, il che lo porta a reagire alla vecchia maniera, ossia imbottendosi di farmaci ancora sotto studio che riesce a ottenere su larga scala grazie a un corruttibile infermiere. Le cose però peggiorano, perché il farmaco in questione, grazie alla complicità di medici più fedeli al dio denaro che ad Asclepio, è un business prima che un fattore terapeutico.

Isolato dai pochi amici che vittime dei pregiudizi dell’epoca vedono nell’AIDS una punizione biblica e una faccenda da froci, Woodroof ha due soluzioni: arrendersi o lottare reinventandosi completamente. È così che grazie a un dottore radiato dall’albo e conosciuto in una clinica clandestina instaura un traffico illegale di farmaci realmente utili nella lotta al virus, aiutando migliaia di vittime nonostante i continui ostacoli posti dal fisco e gli organi medici ufficiali.

Fondamentale nel suo exploit è l’aiuto di Rayon, transessuale tossicodipendente che supera le diffidenze iniziali di Ron offrendogli di allargare il giro di affari e poi una amicizia sincera e del tutto imprevista, resa assai credibile da un camaleontico Jared Leto, sorprendente per lo spessore irriverente e drammatico che conferisce a un così controverso profilo.

La vicenda, obbligata dal soggetto della sceneggiatura, prende poi la piega del più prevedibile dei drammi, benché un ibrido e poetico messaggio di onorevole speranza si incanali gradualmente nella nota e parossistica tragedia collettiva. Quello che resta di un film fortemente morale (nonostante personaggi tipicamente amorali) è un tocco etereo, quasi impalpabile che ciò nonostante palesa ogni ingiustizia, oltre a sussurrare il carattere di profonda dignità che il tema dell’AIDS avrebbe intrapreso grazie alla frequente e commovente vitalità dei coinvolti, gli sconfitti per antonomasia della fine del XX secolo.

Per tocco e vivacità ricorda il malconcio e liricissimo Drugstore Cowboy di Gus Van Sant, mentre la profondità di umori dell’odissea descritta è il grande dono che i  capolavori recano con sé: l’abbagliante bellezza degli sconfitti che non smettono di lottare e che infine riscattano sul Libro Mastro della vita la più poetica delle vittorie, l’unica in grado di elevare il genere umano senza per questo poterne cambiare il destino. Almeno mezzo punto in più per la colonna sonora (tra gli altri, un certo Shuggie Otis) e la sacra presenza di Marc Bolan e i T-Rex, che va ben oltre le musiche.

Luca Buonaguidi

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