Un discreto indie per la genesi di Brie Larson
L’indie americano non sempre arriva in Italia, basti pensare a Fruitvale Station, vincitore del Sundance Film Festival 2013, mai distribuito nelle nostre sale*. Figurarsi un titolo vincitore del Gran Premio della Giuria al South by Southwest Film Festival di Austin (piattaforma chiave nel mercato Nord Americano) come Short Term 12 di Destin Cretton, lungometraggio basato sull’omonimo corto da lui diretto nel 2008.
Nonostante i riconoscimenti il nostro continente ha riservato ben poca attenzione a un film che è valso alla sua protagonista Brie Larson un posto d’onore sulla cover del numero dedicato a Hollywood di uno dei magazine più importanti: Vanity Fair.
Grace/Larson, beniamina dell’universo Sundance, arriva a cavallo della sua bicicletta Floyd nel bel mezzo del racconto di come Mason al suo primo giorno di lavoro alla casa famiglia dove lavora se la fece nei pantaloni.
Mason è il suo compagno e collega di lunga data, al momento mentori del nuovo arrivato Nate, primo nostro cicerone, poi oggetto di studio agli occhi di Grace e della comunità di minorenni lì presenti, tutti salvati e/o abbandonati da situazioni familiari deplorevoli, un passato che la nostra protagonista sembra condividere con tutti loro.
Il pacchetto sandènce
Destin Cretton non evita nemmeno uno dei cliché del tipico film à la Sundance, ma la verità è che si tratta di un sistema che a suo modo funziona quando tutti gli elementi, se combinati assieme nel giusto modo, risputano fuori una vicenda drammatica che ci risparmia il potere dellevidenziatore.
Il pianto nella doccia, la fuga e la conseguente sensazione di libertà e scene caserecce che dovrebbero rappresentare la quotidianità con uno sguardo sincero, soffuso come la luce che contorna ogni singolo personaggio, elementi chiave del genere a cui Short Term 12 appartiene, sfruttati con una naturalezza, una tempistica efficace e decisiva nel mettere in gioco le giuste emozioni per i propri protagonisti e gli spettatori.
L’occhio di Cretton
Il buono di Short Term 12 si nasconde appunto nell’alchimia, nella normalità dei lunghi dialoghi e nel talento di Cretton di aver saputo spezzare la camera a mano con improvvise apparizioni celestiali di immagini ben composte e selezionate a dovere.
Solo nella tecnica si riesce a trovare la vera bellezza del film, la cui trama permette agli attori di farsi valere più che di rappresentare qualcosa (a cui tra l’altro il pubblico è già ampiamente abituato) tant’è che il cinema sembra aver adottato il giovane Keith Stanfield, volto di Marcus, ragazzo prossimo al compimento dei 18 anni e dunque ad abbandonare la casa che fino a quel momento lo aveva difeso dall’esterno.
Homo Sapiens Sundance
Un trattamento da augurare anche all’ottimo Mason, nella vita John Gallagher Jr., incarnazione dell Homo Sundance. Barba, capelli scompigliati, camicia a quadroni, battuta pronta, amico dei giovani ragazzini disagiati, l’uomo che può ascoltare un fuck senza esserne sconvolto.
Proprio il ricollegarsi a un genere molto in voga negli USA che un giorno forse decideranno di riassumere in un vero e proprio movimento, perché è di questo che si tratta potrebbe mettere in cattiva luce Short Term 12, spingendo lo spettatore a ignorare l’incredibile empatia a cui accediamo con uno guizzo di vitalità dal suo inizio.
Partenza a cui rimaniamo legati indissolubilmente per la durata del film grazie alla macchina da presa, terminando purtroppo la corsa con un finale mieloso (e anche un po’ nazionalista) per poterci concedere il lusso di sprecare aggettivi troppo preziosi per descrivere il comunque ottimo debutto di Destin Cretton.
* È uscito il 13 marzo 2014 in Italia, con notevole ritardo.
Fausto Vernazzani
Voto: 3.5/5
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