La cronaca razzista diventa cinema alla fermata di Fruitvale Station
Il cinema indipendente americano da tempo immemore scava nella cronaca per raccontare sullo schermo le storie più tragiche. Lo dimostrano film come Precious e Short Term 12, materiale ideale per un debutto al Sundance Film Festival o al meno noto ma ugualmente importante South by South-West.
Agli statunitensi è evidente piaccia veder sul grande schermo storie commoventi ispirate alla nuda e cruda verità quotidiana, e appartiene a questa progenie la storia di Oscar Grant, 22 anni, ucciso dalla polizia il primo dell’anno nel 2009 a Oakland, nella Fruitvale Station, da cui il titolo del film desordio di Ryan Coogler.
Oscar Grant, un omicidio di stato
Dalle pagine dei giornali al cinema il passo è breve, Grant rinasce col volto del simpatico e carismatico Michael B. Jordan, fino a quel giorno un attore caratteristica apparso poche volte in ruoli di rilievo (Chronicle, Red Tails), a cui è stato affidato il compito di mettere in scena le ultime ore di vita del giovane padre e marito.
Una vita come tante, ai margini della società, membro di una minoranza vessata, con un passato in galera e un curriculum da spacciatore che gli ha fatto guadagnare solo guai da cui ora cerca di fuggire per essere un padre e un marito migliore. A 22 anni doveva già scappare dal proprio passato, diventare un uomo responsabile.
Orfani di padre
Un tasto debole per gli statunitensi, incapaci di immaginare qualcosa di peggio di un cattivo padre di famiglia anche se giovanissimo come Oscar Grant, motivo per cui Coogler impone allo spettatore, senza indugiare troppo a lungo, di condividere col ragazzo emozioni e sensazioni del suo prossimo roseo (?) futuro.
Un’interpretazione impeccabile di Jordan che gli ha guadagnato una serie di posti fissi nell’industry di Hollywood, tra cui la tanto ambita parte della Torcia Umana nel reboot de I fantastici 4. Il materiale è tuttavia risicato e la commozione troppo forzata, così come l’indignazione nel momento in cui si scatena l’inferno nella Fruitvale Station.
Commozione forzata
Un episodio di razzismo, di abuso d’ufficio presentato nei primi minuti del film con le immagini reali dell’accaduto riprese dai cellulari di tutte le persone che hanno assistito all’omicidio del giovane e amabile Oscar, sparato a bruciapelo prima ancora che una qualche accusa di qualunque tipo fosse formulata nei suoi confronti.
Coogler è chirurgico nella selezione delle scene, ogni pagina di sceneggiatura scritta è volta a rendere il finale ancora più drammatico di quanto fosse, ma il suo stile quasi documentaristico non fa che sottolineare le varie forzature.
Il prodotto finale è una creatura montata ad hoc per far piangere e applaudire uomini e donne nel pubblico, una spinta a mostrarsi solidale contro i poteri forti che schiacciano le vite dei nostri giovani, ancora nel fiore degli anni, senza aver avuto neanche il tempo di poter sfruttare una seconda possibilità per riscattare la propria vita.
La verità dietro Fruitvale Station è che la giustizia, come spesso purtroppo capita, non è all’altezza delle aspettative della gente comune, l’agente di polizia che fece fuoco (Chad Michael Murray nel film) fu rilasciato dopo solo 11 mesi di carcere e la vera vittima fu ed è tuttoggi la piccola Tatiana. Il film, forse, serve solo a ricordarcelo.
Fausto Vernazzani
Voto: 3/5
dipende tutto dallo stile e dalla regia,ogni storia può diventare un film. Poi ci sono cose ancora più sottili e in contraddizione nello spettatore,magari alcune storie melodrammatiche a tinte forti ci piacciono e altre meno,come anche una regia essenziale talora va bene,ma in altri contesti preferirei maggior drammaticità anche ricattatoria
è l cinema che non è mai uguale a se stesso
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Sono d’accordo con te, ma a volte negli USA si tende a fare un film su determinate storie d’uomini e donne solo perché c’è una sorta di finale tragico, un riscatto per far ancora sognare la bellezza dell’american dream. Fruitvale Station rientra nel primo caso, la tragedia post-riscatto e… così vuoto, privo anche solo di un messaggio morale, che lascia l’idea che non c’era nulla su cui fare un film! Ma in linea di massima condivido il tuo pensiero :D
Fausto
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