All’Oldboy di Spike Lee non basteranno 15 anni per diventare un cult.
Pochi giorni fa è uscito l’über-remake di Spike Lee, Oldboy. Da anni il regista afro-americano non si vede nelle sale (italiane), dal fallimento di Miracolo a St. Anna, impedendoci così di recuperare al cinema il successivo Red Hook Summer, e lasciando il pubblico nostrano un gap di cinque anni nella sua filmografia.
Un peccato che il suo ritorno arrivi con l’odiato remake del cult di Park Chan-wook, secondo film della sua trilogia della Vendetta tratto dal manga di Garon Tsuchiya. Non a caso c’è chi ha preferito parlare di ri-adattamento, come già David Fincher fece per il suo Millennium, un modo per scacciare l’etichetta di remake, purtroppo, per loro, inevitabile.
Joe douche-t il bastardo
Oh Dae-su passa da Choi Min-sik a Josh Brolin, nome Joe Doucett, uomo sui trent’anni incapace di tenere la lingua a freno, prendendo in giro il suo capo all’agenzia pubblicitaria per cui lavora, tentando di portarsi a letto le mogli dei suoi clienti, insultando la sua di moglie ed ignorando la figlia di tre anni.
Gli USA non conoscono offese peggiori di queste.
L’anno è il 1993 e dopo una sbronza colossale Joe si risveglia in una stanza d’albergo sigillata dall’esterno, con solo un televisore per compagnia.
Rinchiuso senza motivo e senza poter vedere né la luce del sole né parlare con anima viva, Joe passa gli anni, uno alla volta, con la Tv che lo informa su un crimine da lui mai commesso: l’omicidio della moglie.
Intanto che la polizia lo cerca dappertutto, passano 20 anni e l’uomo ormai cinquantenne pianifica la fuga per trovare sua figlia Mia e raccontarle la verità.
Proprio in quel momento arriva la libertà e la voce del suo carceriere/Sharlto Copley: chi è stato a rapirlo, perché lo ha fatto? Se Joe Doucett risponderà a queste due domande entro pochi giorni, potrà rivedere sua figlia.
Copia carbone
La storia è esattamente la stessa del film di Park Chan-wook, decorata da poche modifiche per ingannare lo spettatore, stavolta onnisciente, e prepararlo a un colpo di scena diverso dall’adattamento sud coreano.
Cambia poco a dir la verità e la vera sfida per Spike Lee è riuscire a sovrapporsi a scene e sequenze ultra-note nella memoria del pubblico mondiale. Ma quel poco che non coincide con l’originale è tutto nel finale.
Un pizzico di Spike Lee
Martoriato, ridotto, senza che regia, sceneggiatura o attori si siano impegnati a dargli un minimo di credibilità. Oldboy si interrompe sul più bello, è un non-finito su cui sembra ci sia stato poco impegno nel trovargli una conclusione.
L’Oldboy di Spike Lee non rimarrà nella storia come il predecessore, è sicuro, però odiarlo sarebbe ingiusto. La confezione basta a distinguerlo dal prossimo grazie a cliché del cinema del regista di Lola Darling.
Un esempio è la diversità statunitense, protagonisti la comunità afro-americana guidata da Samuel L. Jackson o il pub irlandese di Michael Imperioli, il cui Chucky, insieme a Marie Sebastian/Elizabeth Olsen, aiuterà Joe.
Purtroppo, al di là del paragone col film di Park, da cui esce pieno di lividi, sarà utile solo per essere visto come parte della filmografia di Spike Lee, ma certo non sarà uno dei più importanti da conoscere e recueperare.
Fausto Vernazzani
Voto: 2.5/5