L'uomo che volle farsi re - CineFatti

L’uomo che volle farsi re (John Huston, 1975)

Sean Connery e Michael Caine fanno coppia nel magistrale L’uomo che volle farsi Re di John Huston.

Perciò, stando così le cose, la faremo finita e ce ne andremo da qualche altra parte dove non si stia stipati e dove uno possa ottenere ciò che gli è dovuto. Non siamo uomini da poco e non abbiamo paura di nulla tranne che del bere e per questo abbiamo firmato un Contratto. Perciò ce ne andiamo, per diventare re.

Tra i più grandi registi del firmamento, John Huston coltivò un sogno lungo decenni: L’uomo che volle farsi re, un film tratto dall’omonimo racconto di Rudyard Kipling che riuscì a girare tra le Alpi Francesi e il sud est del Marocco nel 1975.

Dopo aver firmato decine di lungometraggi con una qualità media tale da elevare la sua figura a leggenda, Huston tentò di coinvolgere senza successo attori già al suo fianco quando non lanciati come Humprey Bogart, che avrebbe dovuta fare coppia con Clark Gable, poi Burt Lancaster e Kirk Douglas, ancora Robert Redford e Paul Newman, ma infine si narra che fu quest’ultimo a suggerire i nomi definitivi di Sean Connery e Michael Caine, che non sprecarono l’occasione con una interpretazione magistrale e in piena sintonia con l’atmosfera grottesca che caratterizza la folle impresa dei due protagonisti.

La sceneggiatura propone l’io narrante di Kipling, giornalista diretto verso l’interno dell’India che si fa circuire da due strani inglesi in combutta, Peachy Carnehan e Daniel Dravot, con cui non condivide niente se non la carrozza del treno e l’appartenenza alla massoneria.

Complici le coincidenze e il disdicevole comportamento a bordo dei due, per giunta ex sottoufficiali dell’esercito inglese, Kipling verrà messo poi privatamente a conoscenza del loro progetto di diventare sovrani del Kafiristan, remota regione dell’Oriente, in cambio di fornir loro le notizie in materia a sua disposizione su un paese che ignorano completamente ma di cui sognano a prescindere la conquista, e di cui poi disprezzeranno dal primo momento gli abitanti, che invece vedranno in essi la reincarnazione deificata di Alessandro Magno, ultimo illustre conquistatore e depositario di un tesoro occulto e favoloso.

Si instaura così un regno impossibile ma travolgente, che capitolerà solo dopo aver sfiorato la meta finale avvolta nella dialettica tra gloria personale e ricchezza materiale, come altrove già tema ricorrente della filmografia di Huston.

 

Benché sia prolisso senza neppure riuscire a rivelare completamente ogni implicito, questo film disarcionato coinvolge per il suo essere una credibile farsa cavalleresca, entusiasma grazie a alcune sequenze cult e appaga per una componente visiva degna dei migliori film d’avventura, pur essendo anche molto altro, da una sagace e divertente parodia del colonialismo (verso i colonizzatori e, elemento di raro interesse, i colonizzati) grazie all’atmosfera ironica ora blanda ora sfrenata, all’avventura fallimentare di un sogno amorale che approda al dramma gnomico, fino alla fiaba gradevole e riccamente irrorata di sfumature.

Imperfetto se a un film si chiede un precetto, perfetto se si è allergici al cinema più didascalico, questa volubile epopea merita appieno l’esteso pantheon hustoniano, pur se in posizione defilata rispetto ai capolavori epocali che di tale edificio sono invero artefici.

Luca Buonaguidi

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