Under the Dome S1 (Niels Arden Oplev, 2013)

di Francesca Fichera.

Strano che non se ne parli più di tanto al di fuori dei circoli di fanatici e seguaci [a proposito: consultate la pagina italiana Under the Dome Italia, per un continuo aggiornamento sul tema, n.d.r.]. Eppure l’attesa per il primo episodio di Under the Dome è finalmente giunta al termine (almeno negli States…) e presto finirà ufficialmente anche qui in Italia – per essere esatti, il prossimo 14 luglio su Rai 2, alle 21,50Niels Arden Oplev (Uomini che odiano le donne) firma la regia di questo pubblicizzatissimo pilota, che se da un lato delude le aspettative dall’altro ne crea di nuove, facendo sperare in una continuazione perlomeno all’altezza del libro da cui trae spunto l’intero impianto.

Ci si chiede subito se è un caso o se realmente si ammicca a Jurassic Park – dato che c’è anche un certo Steven Spielberg fra i produttori – nella scena d’apertura, con quel guscio rotto da cui fuoriesce un minuscolo uccellino ricoperto di filamenti trasparenti; ma è un dettaglio, ora come ora, che potrebbe preludere a qualsiasi cosa. Ed è in un universo di domande che la regia di Oplev – serrata, sintetica, forse fin troppo affrettata – catapulta il pubblico di Under the Dome, trascinandolo per le orecchie in medias res, fra i personaggi dei quali, a seguire, verranno sviluppate le vicende. Così si fa la conoscenza di Dale “Barbie” Barbara (Mike Vogel), del poliziotto Duke (Jeff Fahey, in un cammeo inaspettatamente breve) e della sua collega Linda (Natalie Martinez), di James “Big Jim” Rennie (Dean Norris, star di Breaking Bad) e di suo figlio Junior (Alexander Kochalle prese con l’acida di turno, la bionda Angie (Britt Robertson). Completano il quadro il fratello della biondina, Joe (Colin Ford), la giornalista fulva Julia Shumway (Rachelle Lefevre, vampira della saga Twilight) e la coppia omo con figlia adolescente al seguito. E poi, naturalmente, la cupola, che tutto trancia e separa, e che un tempo eccessivamente breve – probabilmente dettato da particolari esigenze di produzione – fa sì che venga immediatamente accettata come realtà inconfutabile e inamovibile, a differenza della lenta introduzione/assimilazione compiuta e descritta nel romanzo.

Una scena di "Under the Dome"
Una scena di “Under the Dome”

In Under the Dome sono presenti cliché di cui non ci si aspettava la ripresa: ad esempio l’evidente bellezza fisica della coppia “protagonista”, Dale e Julia, per giunta a scapito di una maggiore fedeltà al testo di Stephen King, dove la cronista supera l’affascinante avventore di almeno dieci anni d’età. D’altra parte, è bene notare che la durata del pilota è inferiore agli standard di altri illustri colleghi: un aspetto che penalizza il contenuto dello stesso dal punto di vista narrativo, costringendo lo spettatore ad assistere a 42 minuti di salti temporali e situazioni risolte in poco più di un attimo, come [SPOILER] nel caso dei malori dei due giovanissimi Colin e Norrie, da cui subito s’evince il desiderio di connotare la componente adolescente della storia con la proprietà, tipicamente kinghiana, della luccicanza [FINE SPOILER]. Si vede che gli autori, come già affermato in precedenza, puntano sul micro piuttosto che sul macro, sull’affezionarsi del pubblico alle storie singole piuttosto che alla storia in generale. E questo è un dato che è possibile ricavare dal modo con cui è stato messo insieme il cast, quasi consono – ad eccezione della già menzionata Lefevre/Julia Shumway e di Alexander Koch, troppo “tirato a lucido” per vestire i panni di un folle omicida.  Under the Dome sembra quindi offrire una discreta occasione d’ascolto per una storia in pieno stile “King” e, per chi è fan, di rivivere l’avventura cartacea di uno dei libri più complessi del Re. E forse non si parla solo di rivivere, ma di trasformare.

 

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