In the Flesh: per gli zombie esiste una cura – di Fausto Vernazzani.
La televisione non è cinema e qui su CineFatti tenderemo sempre a preferire il secondo alla prima, ma in certi casi, come a tutti è ben noto, anche la scatola ha i suoi sprazzi non tanto di bellezza, ma di intelligenza e furbizia. I contenuti sono il punto centrale, laspetto grafico il secondario, ma la tecnica registica raramente viene a dire la propria con la forza a cui il grande schermo ci ha invece abituati.
Ieri il nostro Roberto ci ha parlato de Locchio nel triangolo di Ken Wiederhorn, linizio sul nostro blog di una serie di recensioni sul cinema zombie una tesi in tal senso è in fase di stesura -, ma la BBC ci è venuta in aiuto con una serie su questo delicato tema tanto di moda da quando la AMC ha lanciato il suo adattamento televisivo della graphic novel The Walking Dead.
Se la serie americana punta solo allesibizionismo duna serie di situazioni vuote e prive di commento sociale, il canale BBC Three prende una via simile al recente blockbuster Warm Bodies: la crisi è finita e gli Zombie sono in via di guarigione. Diretto dal regista televisivo Jonny Campbell, visto al cinema solo col buon Alien Autopsy, la miniserie in tre episodi si intitola In the Flesh ed è ambientata nella cittadina nordica di Roarton, un piccolo villaggio dove in seguito al risveglio dei morti è nato il primo gruppo di HVF, lHuman Volunteer Force, pattuglie di vigilanti che hanno agito per la difesa della popolazione in assenza degli aiuti governativi. Sono passati anni dalla crisi del 2009, migliaia i morti ed altrettanti i non-morti, ma una cura è stata trovata ed ora gli Zombie non son più chiamati marci, ma persone affette dalla Partially Deceased Syndrome.
Centri di riabilitazione sono istituiti, sempre più sono le persone rinate dal loro stato di incoscienza, incapaci di vivere come un tempo, devastati dal senso di colpa dovuto ai vividi ricordi dei loro momenti di rabbia. Il nostro protagonista è uno di loro Kieren Walker (Luke Newberry), tormentato dai ricordi della sua vita e della sua non-vita, costretto a rientrare in una società non ancora pronta a vedere i suoi partially dead tornare a casa, ma decisa ad eliminarli nonostante il Governo protegga i convalescenti. Non affatto una commedia, né un horror nonostante certe scene facciano il loro effetto – , piuttosto un dramma figlio di una tradizione televisivo/cinematografica che da sempre ha distinto un certo tipo di produzioni britanniche per l’impegno sociale.
La tolleranza verso le minoranze, la paura dellignoto e la mentalità ristretta delle piccole comunità sono i temi su cui la miniserie si costruisce, quasi In the Flesh fosse uscito da un romanzo di Stephen King anziché dalla penna di Dominic Mitchell, anche lui esordiente come gran parte del cast principale. È andato dunque in onda ieri sera, 17 Marzo, sul canale BBC Three, impossibile dire quando sarà distribuito in Italia, né se mai lo vedremo, dato che in molti casi ci si ritrova con in mano il remake americano al posto delloriginale (come accadde per Life on Mars), ma dopo questo primo suggestivo e toccante episodio è lecito dire che in un modo o nell’altro In the Flesh deve essere recuperato e pubblicizzato, soprattutto tra le fila di quelle persone deluse dal vuoto totale di The Walking Dead e che da tanto tempo aspettava una serie come si deve a tema zombie.
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