Amami se hai coraggio è un gioco da bambini… o forse no
In Italia è conosciuto come Amami se hai coraggio ma qui, da questa virgola in poi, lo chiameremo com’è giusto che sia e cioè: Jeux d’enfants.
Ché, come spesso capita con le becere traduzioni italiane dei titoli cinematografici, l’originale è sempre il migliore, quello più fedele in quanto meno altisonante e didascalico, privo della ricerca di un effetto, votato all’estetica della sottigliezza.
Le regole dell’attrazione
Certo, l’amore non è un gioco – anche se è più semplice di ciò che sembra. Ma nel caso dell’esordio alla regia di Yann Samuell l’eccezione sta a confermare la regola. Ed è essa stessa fatta di regole: quelle di una sfida, resa sempre più eccitante dal trascorrere del tempo, fra Julien (Guillaume Canet) e Sophie (Marion Cotillard).
Due emarginati che condividono il margine, lo spazio angusto racchiuso dai loro limiti, fin dall’infanzia. Assistendo alla nascita in sordina, senza pianto né rumore, di un sentimento in tutto e per tutto affine al loro humus, all’ambiente che li ha formati plasmandone la storia: un affetto che non varca mai la soglia, sempre pronto a sfiorare l’orlo del precipizio con la punta dei piedi per poi tornare indietro.
Tutto ruota intorno al senso del rischio e dell’attesa, come in una giostra – assurta a simbolo metaforico e concreto del racconto, mitico oggettino di latta con cui i due si divertono a rilanciare un match esistenziale senza posa.
E anche quando gli anni passano, le mamme invecchiano e i figli crescono, quel desiderio sfrenato di novità, di volontà insoddisfatta che fa da motore all’uomo e al suo sentire, resta lì implacabile come una miccia nascosta che attende solo la sua scintilla personale provocata da mani esperte e familiari.
Superfici profonde
C’è essenzialmente questo sotto la fitta coltre di trucchi cucita dal furbo giocatore Yann Samuell, che a tratti richiama alla mente l’iperrealismo di Jean-Pierre Jeunet (Il favoloso mondo di Amélie) anche se nell’ottica di una decisa fuoriuscita dalle righe – qualche volta pure un po’ volgarotta, soprattutto con le sequenze di travelling presenti nel secondo tempo del film.
Di questa tendenza a evidenziare cose di per sé visibili (se non palesi), a giocare (per restare in tema) d’astuzia con l’emotività dello spettatore, fanno parte gli aforismi e quelle scene tanto cliché (su tutte: l’inseguimento dell’autobus) che già si sa quanto e come faranno presa su stomaci e cuori del pubblico.
Eppure, in mezzo a tanta attraente consapevolezza narrativa, c’è quel senso latente che inquieta e, legandosi al finale a sorpresa, addirittura spiazza. È forse la profondità nascosta in superficie di cui parlava Hugo von Hofmannsthal: letteralmente cementata da una fra le più crudeli sembianze assunte dal romanticismo.
Francesca Fichera
Voto: 3.5/5
marion,oh mon amour….guarda potrei pure vedere un cinepanettone o un film di brizzi se ci fosse lei!
Non conoscevo questo film ma lo guarderò! Grazie!
ps:se volete sul mio blog c’è un post dedicato ai film della nostra vita : i mai più senza movies,se volete partecipare anche voi ..mi fa piacere eh ! ^_^
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Ci saremo con estremo piacere :D (e sono contenta pure di averti suggerito inconsapevolmente un inedito, incontrando la tua passione per la divina Marion…)
A presto :)
– Fran
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p.s.: ho scritto in uno strano italiano, non so perché xD Pardon :°D [F]
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perchè siamo artisti della parola eh
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Puoi dirlo forte, bro B-)
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