Top Ten 2012: i migliori film dell’anno

Su twitchfilm.com ieri ho letto un articolo su cui si parlava di quanto fossimo inutili noi blogger di cinema. Secondo loro non abbiamo la minima rilevanza in termine di afflusso nelle sale nazionali – ovviamente si riferivano a quelle USA – ma ci tengo a controbattere a distanza dicendo che lo scopo di tutti noi che scriviamo di Cinema online, e ho letto tanta altra gente su tanti altri siti scrivere cento volte meglio di chi prende uno stipendio per farlo, lo facciamo per passione. Non so gli altri, ma la mia giornata si illumina quando so di esser riuscito a spingere qualcuno a vedere un film che altrimenti, chissà, sarebbe stato ignorato. Non c’è altro motivo, influire sull’affluenza nelle sale di tutto il paese e pensare che tutti i “critici” online aspirino ad una cosa del genere è assurdo, personalmente ho sempre visto il blog/sito come un mezzo per raggiungere le persone e non la “gente”.

Per questo, e solo per questo motivo, ho scoperto nelle classifiche un simpatico alleato: ogni volta che se ne scrive una si ricevono insulti, applausi, indifferenza totale, assalti armati per aver dimenticato questo o quell’altro film, per non aver rispettato una regola inesistente su come si redigano le mitiche “Top Ten”. Insomma, si ottiene partecipazione. E quanto è bella la partecipazione, quando qualcuno ti odia con tutto se stesso per aver espresso un’idea, e magari va a vedersi un film che hai amato giusto per poi maledirti ancor più forte. L’importante è partecipare, ed il cinema è un gioco in cui non conta vincere. Non voglio cambiare il mondo con quel che mi piace, voglio solo condividere qualcosa, uno dei tanti motivi per cui CineFatti nacque più di due anni fa, ed il motivo principale per cui vi scrivo che questi sono i miei film preferiti dell’anno appena trascorso.

10. Take this Waltz: Stilare una lista prende tanto tempo ed alla fine si rischia sempre di lasciar fuori quelle opere che possiamo considerare personali. Al decimo posto ecco così il secondo film da regista della canadese Sarah Polley, il cui titolo è preso da un brano di Leonard Cohen, splendido come la storia di Margot, da anni in una relazione con Lou, ma di colpo innamoratasi del nuovo dirimpettaio, il bel Daniel. Il ritorno ai sentimenti seppelliti da tempo, il dilemma di cosa sia meglio e cosa sia peggio, la regia spettacolare della Polley e l’interpretazione sentita di Michelle Williams, capace di devastare gli animi più sensibili che mai si sarebbero aspettati quel finale a 360 gradi con Cohen in sottofondo.

9. Into the Abyss: Ogni lista che si rispetti deve contenere almeno un Werner Herzog e non per pagare una sorta di pizzo, che probabilmente il regista tedesco accetterebbe o richiederebbe, ma perché lui è uno dei più grandi registi mai esistiti ed ognuno dei suoi film è sempre un’esperienza tutta nuova ed indimenticabile. La storia è quella della condanna a morte di Michael Perry, ragazzo di 28 anni pluriomicida: A Tale of Death, A Tale of Life, sottotitolo del film, ci spiega come questo documentario non sia solo una lancia spezzata a favore della vita, ma anche un attacco ad una società in cui si uccide per poter guidare una Camaro rossa per poche ore. Regia neutrale, intervistatore spietato, Herzog è una forza della natura.

8. Reality: Non piace agli italiani, ammettiamolo, quando li si tocca dritti nel cuore. Non piace quando si va oltre il dramma di provincia o d’appartamento, tutto va bene finché sia rinchiuso in delle barriere irreali, ma quando qualcuno riesce a mettere a nudo di cosa siamo fatti davvero, ecco che subito parte l’omertà. Matteo Garrone è la nostra punta di diamante, con Aniello Arena e il colorato cast tutto di Reality, ci ha raccontato dell’ossessione per la fama dell’uomo comune d’Italia, per quella spassionata follia che spinge molti a perdere il contatto con la realtà. Una regia perfetta, un incredibile fotografia del compianto Marco Onorato e la straordinaria presenza di Arena, hanno reso questo film uno dei più belli mai girati in Italia negli ultimi quindici anni.

7. Isn’t anyone alive?: Dopo tanti anni di silenzio è stato bello veder tornare in vita una delle icone del cinema “punk” giapponese, Sogo Ishii, tornato a firmarsi con il suo vero nome Gakuryu Ishii. Scritto e tratto dall’opera teatrale di Shiro Maeda, è un film che fluttua tra fantascienza e film drammatico: si parla di un gruppo di persone tutt’ad un tratto trovatesi faccia a faccia con una silenziosa apocalisse. La gente inizia a morire senza una ragione, tutti cercano il modo migliore per andarsene, ma soprattutto di avere qualcuno affianco prima che l’Oscura Signora li prenda e porti via. Divertente, weird nel vero senso della parola, l’ultimo film di Ishii è capace di dar sollievo tanto quanto di far riflettere con crudeltà sulle condizioni dell’individuo.

6. Holy Motors: Navigando nella rete vedrete quante se ne dicono sull’ultimo film di Leos Carax, sembra impossibile riuscire a metter tutti d’accordo sulla bellezza o bruttezza di questo film, in cui, e questo è indiscutibile, si trova la miglior interpretazione dell’anno: Denis Lavant. La trama è quasi indecifrabile: il mondo sembra costellato da decine di “agenti” il cui scopo è quello di compiere piccole e grandi azioni per motivi probabilmente vani, ma che sembrano essere necessari tanto quanto lo è il lusso. Tra metafore e splendide scene d’ogni possibile genere, Carax ci porta in territori mai visti a cui è impossibile resistere. Carax restituisce al Cinema quel potere di sorprendere che da tempo non si riusciva più a trovare.

5. Barbara: Mi è nuovo, lo ammetto, del tedesco Christian Petzold, prima di Barbara, non avevo mai visto nulla, ma capirete dalla sua presenza in questa lista che già lo adoro. Lui rappresenta l’immaginazione nascosta dietro la semplicità, splendido autore di un film che racconta del dramma delle vittime della DDR senza esporre in vetrina il sangue e l’accuratezza storica, ma semplicemente appendendo su un muro scarno un quadro di Rembrandt. Un film che si potrebbe vedere guardando solo a due scene: la descrizione del quadro e lo scambio di sguardi nel finale, dopo il quale sarete innamorati senza scampo della protagonista Nina Hoss, la più brava attrice dell’anno.

4. Berberian Sound Studio: L’ennesima dimostrazione che il cinema italiano sia amato più dagli stranieri che da noi italiani stessi. Omaggio delicato all’horror degli anni Settanta, l’opera seconda di Peter Strickland ci fa ben due regali: il primo è il regista stesso, un nome che d’ora in avanti non smetterò più di pedinare, il secondo è Toby Jones in un’altra bellissima manifestazione della sua grandezza. Il luogo del titolo è uno studio italiano in cui il regista Santini registra i suoni per il suo prossimo film The Equestrian Vortex, un horror spacciato a Gilderoy, tecnico del suono, per qualcosa di più “infantile”. E’ la storia d’un uomo in un posto dove tutti parlano una lingua sconosciuta, si comportano da folli e le cui atmosfere sono più inquietanti di qualsiasi horror mai visto. Memorabile il finale Lynchano, memorabile Jones.

3. Kotoko: Passano gli anni e la mia convinzione secondo cui Shin’ya Tsukamoto sia uno dei più grandi artisti del Novecento cresce e cresce. Il cinema ha visto tanti pesci nuotar nell’Oceano, ma mai uno dalla mentalità così contorta come quella del regista di Tetsuo. Adattato per la cantante giapponese Cocco, è la storia di lei stessa, auto-lesionista, affetta da una “doppia visione” grazie a cui vede sia il male che il bene delle persone, sdoppiate in due figure che le impediscono di capire cosa sia reale e cosa no. Vi faranno male gli occhi ad ogni singola inquadratura in cui vedrete ossa spezzate, sangue scorrere e gente morire (davvero o no?), ma più di tutto sarete devastati dall’inquietante visione di Cocco e Tsukamoto, unitisi in un sodalizio artistico mai visto. La danza sotto la pioggia verso la fine del film è una delle scene più belle dell’anno.

2. Amour: La più bella scena dell’anno in assoluto, invece, è un campo e controcampo realizzato dall’austriaco Michael Haneke, pilastro del cinema mondiale giunto alla seconda Palma d’Oro con un capolavoro incredibile. Georges ed Anne vivono la loro anzianità con serenità, hanno se stessi e questo è tutto ciò che conta. Tuttavia una malattia degenerativa colpisce Anne e il loro amore viene messo così ancora una volta alla prova, la più difficile di tutte: assistere alla lenta morte del proprio compagno. Non esistono parole e non esisteranno mai per poter descrivere in così poco spazio una bellezza simile, un film senza tempo, mezzo per comprendere quanto l’amore possa essere tangibile e che cosa significhi. L’applauso, oltre che allo straordinario Haneke, va anche ai due protagonisti Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva, coppia perfetta.

1. Tasher Desh: Lui è la vera ragione per cui ho deciso di scrivere quest’articolo. Un paio di anni fa lessi una classifica in cui un regista indiano sconosciuto, un certo Q, nome d’arte di Qaushiq Mukherjee, rientrava con un film particolare, un musical rap (lui stesso è un rapper). Per molto tempo non sono riuscito a vedere quel film, Gandu (ma il momento è quasi arrivato), ed ecco che la sua seconda produzione venne presentata in anteprima mondiale al Festival di Roma, così, preso dalla curiosità, una mattina dove nemmeno 10 caffè sarebbero bastati a tenermi sveglio, mi avvio e resto incantato. Q è arrogante nel suo modo di porsi, cerca in tutti i modi di costruire un film che non possa definirsi tale al 100%, tenta come un pazzo di inserire quante più cose è possibile nella sua trasposizione de Il regno delle carte (titolo italiano) del Nobel Rabindranath Takhur, al punto da renderlo un’esperienza filmica unica. La storia di un principe chiuso nel suo stesso palazzo e poi fuggito in un regno dove tutto è ordinato come un mazzo di carte è toccante, letteratura semplice, ma al contempo viva e pulsante, come le musiche e le innumerevoli soluzioni di montaggio trovate dal curioso regista. Non è un film artistico come vorrebbe essere, non è forse nemmeno arte cinematografica, ma un esperimento così bello da cui devo ancora riprendermi a distanza di 3 mesi.

Menzione d’onore per Moonrise Kingdom di Wes Anderson, Cloud Atlas dei Wachowski Bros e Tom Tykwer, Prometheus  di Ridley Scott, The Woodsman and the Rain di Shuichi Okita, Rent-a-cat di Naoko Ogigami e tanti altri ancora. Sono poi numerosi i film che avrei voluto vedere per potermi sentire più sicuro di quanto avrei scritto nell’articolo  ma non sarebbe stato sincero, avrebbe rischiato di essere un pomposo tentativo di stilare una lista “universale”, cosa che rovinerebbe la spontaneità che tanto ho cercato. Posso solo dire con dispiacere per il 2012, e gran piacere per il 2013, che questi film saranno visti “in ritardo”: The Master, Sightseers, Vanishing Waves, Wrong, I Declare WarGangs of WasseypurJohn dies at the endOltre le colline, MasqueradeBeasts of the southern wildNostalgia for the Light, Outrage Beyond, No, Chasing Ice, Lincoln, Spring BreakersExcisionGFP Bunny, EunGyoZero Dark Thirty, Story of Yonosuke, The Land of HopeDjango Unchained, Vicky DonorA perdre la raison, Tabu e tanti altri. C’è tempo.

Qui trovate le altre due classifiche:
Top Ten delle migliori sorprese del 2012
Top Ten dei migliori film di fantascienza del 2012

Fausto Vernazzani

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