L’attimo s-fuggente di Monsieur Lazhar
La scuola, luogo deputato a supplire le mancanze e le esagerazioni provenienti dall’ambiente domestico, è spesso trasformata nel suo opposto: un teatro dell’assurdo dove si concentra ogni tipo, forma e spessore di violenza.
Realtà che scoppia in viso al ribelle Simon (Émilien Néron, con il futuro negli occhi) il giorno in cui scorge il cadavere della sua bella e brava insegnante penzolare dal soffitto di un’aula: la sua aula.
Immediatamente scatta il caos, nel quale si insinua una seconda sagoma di solitudine e ribellione: l’algerino Bachir Lazhar (un Mohamed Fellag dalla solidità teatrale) sostituto della suicida.
La lucidità delle favole
Il nuovo maestro ha studiato dalle vecchie grammatiche, non sa cosa siano i “gruppi-soggetto”, ama disporre i banchi in file ordinate, leggere e dettare Balzac e, soprattutto, ha a cuore ciò di cui la maggior parte del mondo – lui compreso – conosce l’inverso: la giustizia.
Così sceglie d’insegnarla con le favole, unendo i punti sconnessi di un’infanzia che alcuni adulti, genitori inclusi, credono di poter tenere insieme a distanza.
Di conseguenza vien fuori, con la rapida naturalezza di una pennellata infantile, l’immatura lucidità dei piccoli, soli non perché isolati ma perché privati della concreta compagnia di una spiegazione, della vicinanza di un chiarimento.
E lucido è anche il ritratto di due disperazioni messe a confronto – quella (da) grande di Bachir Lazhar e quella imberbe, ma non meno pericolosa, di Simon – sullo sfondo di una terza, realizzata e quindi già fattasi tragedia, avvolta nel velo grigio scuro dell’inspiegabilità.
Commoventi eredità
In Monsieur Lazhar il linguaggio è tutto: è nella storia, sotto la storia ed è la storia stessa. Una catena di significati resi opachi dallo splendido senso narrativo di Philippe Falardeau che si compone di pari passo con la crescita della vicenda, dei suoi protagonisti e dell’affetto che emanano.
Ogni anello, dalla figura curiosa e speranzosa della lettrice accanita Alice (Sophie Nélisse) alla favola del lupo e dell’agnello – punto focale di lacerante sincerità – passando per la definizione di “crisalide”, è un dettaglio che non sentenzia ma spiega, concretizzando quell’ideale di insegnamento sempre più raramente riscontrabile nei più importanti microcosmi della società umana.
Grazie alla vibrante coralità degli interpreti, all’accoglienza della luce catturata da Ronald Plante (fotografia), all’essenzialità del montaggio e dello sguardo registico che affida all’inafferrabilità della poesia la totalità del senso, Monsieur Lazhar supera lo stadio di crisalide e spicca il volo verso una dimensione fatta di rarità, semplicità e bellezza, dove l’unica morale del mito è insita nella sua stessa lettura.
Il maestro dona un libro all’allieva, il regista gira un film e ce lo mostra: il percorso è solo suggerito, ma il suggerimento è pari all’avvicinarsi, all’affezionarsi, al lasciare qualcosa di sé, pur se nella consapevolezza di un ultimo commovente abbraccio d’addio.
Francesca Fichera
Voto: 4/5