Eva (Kike Maíllo, 2011)

Eva, principio e fine.

Eva, nome che la cristianità accosta da sempre al concetto di peccato originale, è l’inconsapevole frutto di un atto di presunzione. Presunzione umana, al cento per cento. Così Kike Maíllo deve aver sentito entro di sé la scintilla platonica della creazione, spingendosi – insieme con lo sceneggiatore Sergi Belbel – a rimescolare i cliché narrativi e cinematografici del genere fantascientifico con adagi esistenziali di provenienza biblica.

Ne è risultata una piccola sorpresa sci-fi avente per protagonista il poliglotta Daniel Brühl (chi ha visto Good Bye, Lenin! lo ricorderà senz’altro) nei panni dello scienziato Alex Garel, di ritorno a casa dopo dieci anni.

La trama

Il giovane Garel ha il compito di riprendere in mano il progetto cibernetico che aveva abbandonato prima di andarsene: l’SI-9 , il bambino perfetto, primo prototipo legale di un robot libero – cioè in grado di svincolarsi da qualsiasi forma predefinita di controllo. A ricordare costantemente ad Alex ciò che non ha fatto o non è riuscito a fare ci sono il fratello David (Albert Ammann), che nel frattempo ha sposato la sua ex Lana (Marta Etura), e l’austera Julia, direttrice del centro di ricerche locale.

Ma dea ex machina è e può essere, per un divertente paradosso, solo Eva (Claudia Vega), incorreggibile peste dalla bionda chioma, figlia di Lana e David. Come dire: la perfezione è fra le tentazioni più irresistibili. E Alex si lascia irretire dalla spontaneità senza sbavature della ragazzina, destinata a diventare modello ideale del prototipo SI-9.

Dietro l’angolo, però, c’è Prometeo che ammicca – e dopo di lui Frankenstein. Ma più di tutti – e a detta dello stesso regista – a pulsare sotto la neve degli inquietanti panorami di Eva è la fantascienza di Isaac Asimov, qui realizzata attraverso la patina di una regia americanizzata che non si lascia sfuggire neanche qualche incursione nel melodramma.

Il pomo della discordia

E che svela e rivela la natura ancora grezza dell’opera di Maíllo, al suo primo lungometraggio – presentato fuori concorso durante la trascorsa edizione del Festival di Venezia.

Eva e la mela, Eva è una mela invitante al primo assaggio ma che perde a lungo andare tutto il suo gusto, incespicando fra scelte registiche banali e approssimazioni della sceneggiatura, la quale tuttavia serba un prezioso cuore. L’idea di un robot indipendente fino al suo ultimo momento, a quella morte indotta dal comando «Cosa vedi quando chiudi gli occhi?», non è forse più vicino all’uomo dell’uomo stesso? Quell’uomo che, non sapendo tollerare l’immagine della felicità, tende sempre a dipingerla con un dettaglio mancante.

Francesca Fichera

 

4 pensieri su “Eva (Kike Maíllo, 2011)

    1. Io l’ho trovato in parte deludente, ma ti dirò (come ho anche scritto): i presupposti erano ottimi, talmente buoni da risultare, forse, poco gestibili per un regista al suo lungometraggio d’esordio. Senza dubbio è uno da tener d’occhio, la prossima volta potrebbe “centrare il punto”. ;)
      – Fran

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