My Summer of Love - CineFatti

My Summer Of Love (Pawel Pawlikowski, 2004)

La falsa leggerezza dell’adolescenza

Pawel Pawlikowski è in gara per il Marc’Aurelio d’Oro di quest’anno con La femme du cinquième. Sette anni or sono scriveva la sua dedica alla magia estiva in My Summer Of Love. Un film ignorato dal grande pubblico e sottovalutato dai più – ma non dal fidatissimo Morandini. Per chi ci legge da almeno qualche mese, non sarà di certo la prima volta che lo si vede apparire sulle nostre pagine. Ve l’abbiamo consigliato già molte volte.

Nulla ci impedisce di rifarlo.

Perché, al di là delle vaghe atmosfere da visione videoclippara che ravviserete in un paio di sequenze (almeno quella del viaggio notturno in Vespa, sulle musiche dei Goldfrapp), la luce calda e reale del racconto audiovisivo di Pawlikowski è da considerarsi cosa rara e, per questo, imperdibile.

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Lo Yorkshire come non l’avete mai visto, immerso in un bagliore dorato che spalanca l’orizzonte e rimodella i corpi come fossero di crema, mentre la provincia bigotta  innalza crocifissi pacchiani sulle colline riuscendo a trasformare le  immense distese verdi in asfissiante teatrino per fanatici.

E due adolescenti, Mona (Nathalie Press) e Tamsin (Emily Blunt), vere e al contempo effimere, si abbandonano senza troppo pensare a una passione con la data di scadenza.

Tamsin è leggiadra menzogna, Mona è tragica verità. Possono davvero amarsi le due cose? Forse sì, o forse è tutta una finzione, che lascia dietro di sé il più innocente dei cadaveri: la giovinezza” (Davide Morena). 

Lo straordinario penetra d’improvviso nell’ordinario e lo abbandona con altrettanta violenza. Come l’estate, la felicità o una semplice bella sorpresa. Così di My Summer Of Love può struggere il dolore infinito di Mona, che riproduce l’oggetto del suo desiderio sulla parete della sua stanza.

Può ferire la cecità di Phil (Paddy Considine), il fratello redento e morigeratore, che ritorna all’inferno perché incapace a capire chi gli è vicino. E svuota quel finale cantato dalla Piaf, in cui ci si lancia nel mondo – la foule – senza saper bene quale strada seguire.

Ma dei fiochi lumi accesi da Pawilowski resta di più quello, tremulo e incerto, gettato sulle due giovani amanti mentre fantasticano su una fuga in terre lontane. Con il (mappa)mondo in una mano e la rabbia nell’altra. Per Pawel Pawlikowski l’adolescenza non ha niente di leggero, niente di piccolo.

Diamogli ragione.

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Francesca Fichera

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