Il 38° parallelo la guerra fredda tra coree nel cinema sud coreano.
In molti parlando di Guerra Fredda si riferiscono a eventi passati, all’aria di guerra atomica che si respirava vivendo tra i due blocchi, alla crisi cubana e al muro di Berlino. Siamo convinti sia finita nel 1989 con la caduta di quest’ultimo, dal ricongiungimento delle due facce di Berlino, ma in realtà quella tensione è ancora viva.
Forse la distanza ci porta a pensare sia un dettaglio troppo lontano per preoccuparci, eppure la questione delle due Coree non è da tralasciare. Dalla guerra nei primi anni 50 la Corea è spaccata in due, sull’equilibrio di una fragile tregua, a rischio che una banale scintilla possa scatenare una nuova guerra tra il nord e il sud.
Oggi inizia inizia il concorso ufficiale del Festival Internazionale del Film di Roma e nella programmazione odierna figura Poongsan diretto da Juhn Jai-hong e scritto dal regista coreano più conosciuto nei quattro angoli del globo, Kim Ki-duk.
Uno sguardo triste
La storia di Poongsan (nome del protagonista) si accosta molto al problema delle due Coree, sentito dal cinema non solo con paura di rivivere l’orrore fratricida degli anni Cinquanta, rappresentato nel tragico war movie drammatico Brothers of War di Kang Je-gyu, ma anche con tristezza, con la consapevolezza di non voler essere separati.
Poongsan è testimone di un dolore che va oltre la separazione politica, colpisce uomini e donne costretti a vivere lontani dalla propria famiglia, in questo caso per motivi di spionaggio. Ma non va confuso con una spy story qualsiasi, è piuttosto uno sguardo poetico, com’è tipico della scrittura del regista di Ferro 3.
La tematica della separazione è stata vissuta sul grande schermo sud coreano più volte, se a nord lo sia a meno non possiamo invece esprimerci, poiché la produzione in quella fetta di penisola è quasi inesistente e quel poco che esce dalle fucine di Pyongyang non è affatto semplice da reperire, se non in rarissime occasioni festivaliere.
Intanto stesso il movimento del nuovo cinema coreano, collaterale all’esplosione dell’industria culturale coreana sul finire degli anni Novanta della Hallyu, potremmo dire si origina attorno al desiderio di riunificazione sotto un’unica bandiera con il succitato Kang Je-gyu di Brothers of War che tratta letteralmente la storia di due fratelli in guerra per due fazioni nemiche, e anche e soprattutto la spy-story Shiri, sempre di Kang, in compagnia del film che lanciò un altro genio, ovvero Park Chan-wook, risorto dopo vari flop introvabili col bellissimo JSA: Joint Security Area.
Beul-lok-beo-seu-teo
Classe 1999, Shiri sicuramente si distinse come un successo commerciale senza precedenti nella storia del cinema coreano. Un action movie in grande stile, Kang Je-gyu dirigette un blockbuster in salsa statunitense, ben saldo sui punti di forza che han sempre caratterizzato le pellicole di stampo occidentale.
Amore, amicizia, tensione e una gran dose di sentimento patriottico. Comincia così una sorta di trend che colpirà l’industria locale rendendola una delle più forti al mondo, capace di competere contro le distribuzioni contrassegnate col marchio a stelle e strisce.
Grazie a Shiri sarà anche lanciata un’attrice che diventerà dopo pochi anni uno dei volti più noti della televisione: Yunjin Kim, la Sun Kwon nella serie Lost. Kang Je-gyu racconta di una forza speciale nord coreana infiltratasi nell’agenzia segreta del sud, in missione per pianificare un attacco contro i luoghi più frequentati di Seul.
Piani modificati poiché a breve si terrà un incontro storico tra i presidenti delle due Coree, durante una partita di calcio. Per l’unificazione è una frase che compare spesso in bocca al nemico del film, di cui è portabandiera il grande attore Choi Min-sik contrapposto a Song Kang-ho, ma entrambi hanno un desiderio, essere “sotto un unico cielo”, come disse Jet Li nel wuxia di Zhang Yimou, Hero.
Sul filo del rasoio
JSA: Joint Security Area di Park Chan-wook è molto più vicino alla tematica della separazione, anche nell’ambientazione. La JSA è infatti la zona demilitarizzata, la DMZ che divide i due paesi, quella linea di confine disegnata sul 38° parallelo che divide la Repubblica Popolare Democratica di Corea dalla Repubblica di Corea.
Protagonisti sono una pattuglia del nord e una del dud, i cui capi sono interpretati da Lee Byung-hun e Song Kang-ho. Le immagini di Park Chan-wook inevitabilmente porteranno a una lacrima finale a causa di un triste epilogo che arriva in coda a una storia di amicizia tra nemici giurati per imposizione dall’alto.
La trama accende una sirena, la geografia e la politica non possono nulla contro l’amicizia, qui rovinata da una guerra che non appartiene a quel popolo, ma alla dittatura di Kim Il-sung. In questo film, anche quest’ultimo hit al box-office, si cominciano già a vedere i toni dei successivi film del regista della Trilogia della Vendetta, come i suoi colori forti e un certo senso del grottesco qui ancora in embrione.
Dopo essermi seduto a guardare un gran numero di film coreani mi sono sentito sempre più vicino alla causa delle due Coree, vederle giocare separate alle Olimpiadi, così come ai Mondiali è una cosa che in effetti mette tristezza.
Sapere che un film su questo tema sarà presentato a un festival di una certa importanza, sapere che a scriverlo è stato un regista come Kim Ki-duk, mette la speranza che più persone possano essere sensibilizzate è che, nonostante la distanza, si possa cominciare a sentire questa problematica come nostra. Del resto il mondo si rimpicciolisce sempre più col passare degli anni e un giorno la DMZ sarà dietro casa nostra.
Oddio, quindi esistono film nord coreani reperibili!Me lo procurerò prima di subito, a maggior ragione se è una sottospecie di kaiju!Non conoscevo proprio la storia di questo regista tra l’altro, dev’essere stato una sorta d’inferno… se ne hai altri da segnalare, ti prego, fallo :D
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Infatti sì, è un kaiju e sembra realizzato decenni prima, invece è del 1985! :D Comunque, nella sua ingenuità, con i suoi stilemi di propaganda, a me piacque, il suo forte è anche essere sopra le righe, con tratti di genere particolari (c’è addirittura un esorcismo!). Rispetto a quelli molto rozzi di altri film non è essenzialmente male neanche il mostrone, da dire che è una coproduzione con il Giappone, per quanto possa sembrare strano…
Vista la tua passione attendo recupero e giudizio!
Per il resto, ricordo di aver preso “in certe sedi” dell’altro, roba di drammatico sentimentale, ma o non vi erano sottotitoli o non mi convincevano. Uno era “The Flower Girl” (1972), che nelle “sedi”, pare ci sia, magari provo a rirecuperarlo, visto che l’ho perso, un altro è “A Bellflower” (1987).
Se proprio si è alla spasmodica ricerca su eBay si trovano “On the Railway”, “Traces of Life”, “Marathon Runner”, “Tale of 15 Children”, ecc., c’è anche un negozio cinese specializzato in import dalla DPRK. Bisognerebbe fare una ricerca accurata anche in certi fiumi, che io uso poco, qualcosa magari salta fuori.
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Mostri nati dal riso e esorcismi, è un must e il fatto che sia una co-produzione giapponese suona davvero stranissimo. Dopo quello che mi hai scritto ho letto che i nord coreani avevano un po’ questa bella usanza di rapire gente qua e là tra cui anche parecchi giapponesi… non capisco come gli possa venire di collaborare con loro, ma ok :°D
“The Flower Girl” sono riuscito a trovarlo, gli altri invece no, ma se appunto si deve vedere su eBay, direi che se ne parlerà tra molto tempo… di sicuro “Pulgasari” lo vedrò e una recensione qui sopra sarà inevitabile a quel punto!Anche perché già la storia dietro il film è appassionante, quindi avrai il giudizio non appena io avrò il film!
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News nordcoreane sul mio blog, se dovesse interessarti sono a disposizione!
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