Modigliani, i colori dell'anima - CineFatti, Recensione

Modigliani, I colori dell'anima (Mick Davis, 2004)

di Francesca Fichera.

Noi critici (o aspiranti tali) succede, talvolta, che “se non sputiamo non vendiamo”. Io non voglio vendere, oggi, ma solo esprimere le mie impressioni (in senso stretto e lato) su una delle maggiori delusioni cinematografiche della mia vita. Dai tempi di Alice in Wonderland e della deliranza di Johnny Depp.

Il film di cui vi parlo è però precedente, giusto di qualche anno. Ne scrivo per mettere semplicemente in guardia chiunque abbia un minimo di rispetto per le grandi personalità artistiche che hanno colorato la nostra storia. Tonalità dell’anima a parte. E mi riallaccio così alla sottotitolazione italiana della pellicola di Mick Davis incentrata sulla sfortunata vita di Amedeo Modigliani (1884 – 1920), pittore della femminilità dal lungo collo. Modigliani – I colori dell’anima racconta gli ultimi due anni d’esistenza dell’artista attraverso il delirio amoroso della leggendaria compagna Jeanne Hébeturne (Elsa Zylberstein), dalla quale ebbe una figlia. Povera creatura dimenticata dal regista e sballottata da una suora all’altra senza alcuna reazione umana da parte dei genitori. No, Mick Davis preferisce dar spazio ai sentimentalismi, ai luoghi comuni della narrazione: l’amore tormentato, la rivalità con Pablo Picasso (terribile creatura ibrida, metà mafioso metà torero … basterebbe lui per distogliervi dalla visione), le riemersioni allucinatorie dei traumi infantili, l’ombra della fatalità – ma il melodramma, lo sappiamo, è contro le cure mediche –, e via dicendo.

Andy Garcia, che presta il volto al raffinato pittore livornese, molleggerà meglio di Adriano Celentano per tutta la durata della storia, finendo sempre col buttare un occhio sul fondo dell’ennesima bottiglia vuota.  Ma il fondo Davis lo tocca con la sequenza sulla gara di pittura, inguardabile mix di stilemi pubblicitari (sembra quasi che possa sbucare un SUV sotto la Tour da un momento all’altro) e videoclippari. Aggiungerei anche inascoltabile, già che ci sono.

Salvo qualcosa, che dite? Sì dai. L’incontro con Renoir, vecchietto sibillino e simpatico. Fa perfino sorridere. Il resto non riesce nemmeno a far piangere.

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