Siamo quello che mangiamo, il motto di Grau nel suo cannibalico messicano.
Nel Messico di Jorge Michel Grau si diffonde poco la notizia, ma non capita troppo di rado di trovare resti umani negli stomaci dei cadaveri. Il cannibalismo è un fenomeno allarmante anche se si manifesta sporadicamente, ancor di più perché la polizia sembra non riuscire a far nulla per scovare questi mangiauomini.
Fratelli mangia-uomini
In Siamo quello che mangiamo la morte di un cannibale lascia il segno nella sua famiglia. Senza il patriarca i tre figli Alfredo, Julian e Sabina sono perduti e la madre sembra presa da follia e fame, non dal desiderio di aver cura dei suoi figli. Più un’istituzione religiosa che una famiglia, in cui l’uomo deve comandare, ma il vero motore è la giovane Sabina, l’unica a saper guidare i fratelli verso la sopravvivenza.
Fratelli troppo viziati, troppo spesso imboccati dai loro genitori. Adesso senza chi gli dà il verme, si trovano perduti. Alfredo è troppo sensibile e troppo spaventato per riuscire da solo a prendere il comando, mentre Julian è come un animale privo di controllo in preda alla rabbia, un cane sciolto che col suo atteggiamento bestiale rischia di compromettere il futuro dei suoi fratelli e di sua madre.
Ratti di Città del Messico
Ma il loro stile di vita invece non è animale, Grau non rappresenta una famiglia allo stato bestiale, sono ciò che sono come noi siamo ciò che siamo, la nostra cultura è in parte rappresentata dalla nostra cultura alimentare, siamo quello che mangiamo. I nostri cannibali sanno di essere dei mostri per la società, vivono al buio come ratti e cacciano rapidamente come leoni con le gazzelle, ma restano esseri umani.
Si nutrono degli scarti della società alla luce del sole, le prostitute solitarie sono il piatto preferito, rintracciano cibo nell’immondizia, sfruttano il potere della carne per poterla attrarre e poi mangiare con naturalezza e dedizione religiosa. I loro pasti non sono colazioni, pranzi, cene, per la famiglia di Siamo quello che mangiamo sono dei veri e propri rituali religiosi e ca rispettare come tali.
Cannibali e vampiri, gli opposti si attraggono
Quando scoprii dell’esistenza di Siamo quello che mangiamo molti mesi fa lessi una frase che sosteneva come il film di Grau avrebbe potuto rivitalizzare la figura del cannibale al cinema come Lasciami entrare di Tomas Alfredson aveva dato nuova linfa vitale ai vampiri. I due archetipi mostruosi non sono paragonabili, il successo letterario e cinematografico del vampiro è avanti, ma soprattutto giustificato da una brutalità inferiore rispetto a quella di un uomini che mangiano altri uomini.
Il potenziale successo di Siamo quello che mangiamo non è però l’unico elemento di confronto, vi è infatti una ambientazione che più di tutto li avvicina se pensiamo a chi è il protagonista. Il vampiro è un morto, un corpo freddo che deve rubare calore per “vivere” e tutto si riflette nell’atmosfera gelida e ricoperta di neve della Svezia. Il cannibale è caldo, strappa la carne a crudo con i suoi stessi denti dal corpo freddo della vittima, può sentire il calore del sangue scorrergli agli angoli della bocca e il comportamento polveroso dei tre fratelli è perfetto per un Messico afoso e desertico.
Sono due film in un certo senso gemelli diversi, che per qualità quasi si equivalgono, ma resta superiore il glaciale Lasciami entrare per la sua perfezione stilistica che si accompagna benissimo al fascino elegante del vampiro, mentre il disordine animale del cannibale è perfetto per la regia grezza e scura di Grau, da ringraziare per averci ridato il Messico con un altro film di cui finalmente si potrà parlare da quella nazione da cui tutti i registi sembrano costretti a fuggire.
Fausto Vernazzani
Voto: 3.5/5