La storia riaffiora dalla terra prima di avverarsi
Corre l’anno 2007 quando lo scrittore John Preston dà alle stampe il suo quinto libro, the Dig. Oggi scopro si tratta del secondo adattamento dai suoi testi dopo la bellissima miniserie A Very English Scandal e il mio desiderio di scoprire Preston si intensifica di minuto in minuto, cresce mentre leggo la storia vera a cui Preston si ispirò, lo scavo di Sutton Hoo avvenuto nel 1939 alla vigilia della WWII nei terreni di Edith Pretty. È una storia affascinante di cui consiglio la lettura attraverso due esaustivi articoli del National Geographic:
- Why this famed Anglo-Saxon ship burial was likely the last of its kind
- The Treasure Ship of Sutton Hoo
Oggi the Dig è un film distribuito da Netflix a partire dal 29 gennaio e spero darà a Simon Stone una lunga carriera nell’industria cinematografica britannica e l’ennesimo riconoscimento alla sceneggiatrice Moira Buffini. Lei la ricorderemo sempre per Byzantium, film di vampiri con Gemma Arterton e Saoirse Ronan che per mia fortuna negli anni ho ampiamente rivalutato. Capirete che the Dig mi è piaciuto già da come metto le speranze avanti a qualsiasi opinione, perché coi bei film ti auguri che gli autori abbiano successo.
Il cinema nelle fughe
A raccontare la trama vedrete che c’è poco di cinematografico. La vedova Edith Pretty ha il presentimento che nei suoi terreni si trovino resti del passaggio dei vichinghi. È il sud est del Regno, legato al mare da un fiume, luogo ideale per l’approdo dei norreni. Pretty manda a chiamare Basil Brown, scavatore esperto, ma senza certificazioni. Fra una difficoltà e l’altra, Brown confermerà la veridicità delle parole di Perry e porterà alla luce un’intera nave vecchia di 1400 anni, precedente persino alle scorribande vichinghe.
È l’alto medioevo che emerge e al sole restituisce la vita di un popolo su cui all’epoca sapevano poco: laggiù a Sutton Hoo si nascondeva un sepolcro ricco di manufatti d’ogni tipo che hanno dato voce a una cultura sepolta dai secoli. Lo stesso potrebbe accadere da un momento all’altro ai contemporanei di Brown e Pretty, sulle loro teste volano le pattuglie aeree della RAF e alla radio i cronisti raccontano con sempre maggiore ansia l’avvicinarsi di una guerra contro il governo nazi–fascista di Adolf Hitler. È questione di settimane.
Il cinema è lì, uno spazio per le immagini legato all’invisibile tempo e all’immaginazione indirizzata verso ciò che potrà mai essere di noi quando la terra avrà reclamato le nostre spoglie. Stone usa un linguaggio da classico melodramma inglese, ampie vedute e attori all’angolo per concentrare l’attenzione sull’ascolto. Far comprendere allo sguardo di poter accogliere solo un istante del luogo dove si può sentire rappresentato. In un particolare incrocio di epoche, the Dig racconta il senso di vite qualsiasi all’incrocio degli eventi.
Gli occhi che contano
In seguito alla lettura dei vari articoli su Sutton Hoo scarto il pensiero di un qualsiasi successo archeologico, specialmente alla luce di quanto Stone calchi la mano sul dare il giusto credito a Basil Brown. Questo the Dig vuole consegnare una corona d’alloro al suo Cesare, senza nascondere pugnali dietro l’angolo. Tempo ne è passato e Brown suppongo li abbia già ricevuti nella sua schiena in quantità sufficiente da poter evitare la rappresentazione di risvolti negativi da far indossare allo sguardo già abbattuto di Ralph Fiennes.
Dal canto mio non posso far altro che ribadire il mio errore di valutazione nei confronti di Carey Mulligan, fragile Edith Pretty e grandiosa in un ruolo anch’esso di di rivalsa nei confronti di un personaggio che negli scavi di Sutton Hoo potrebbe apparire come secondario. Credo debba vedere urgentemente Wildlife per cavalcare l’onda ora che con Promising Young Woman e the Dig mi trovo sulla cresta. Il resto del cast è di ingranaggi ben oliati e non sensazionali, come Lily James e Johnny Flynn.
In questo periodo Netflix sta riuscendo a distribuire dei titoli interessanti, dopo lunghi mesi, se non anni, di montagne solitarie in vallate colme di film/rifiuti. Prossimamente non potrò infatti fare a meno di parlare di Space Sweepers, avendolo atteso per lunghissimo tempo – senza alcuna speranza di guardarlo in un cinema, resta pur sempre un film coreano. Forse posso tornare a dare un minimo di fiducia allo streamer che ormai rappresenta solo una pallida ombra del Cavaliere in armatura di dieci anni fa. Ora vado a scavare.
Eppure così a prescindere non mi ispirava minimamente, nonostante il cast notevole. A questo punto, invece, bisogna dargli una chance.
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È veramente bello, ben fatto, classico ma non pesante secondo me. Anche perché a metà si spezza e inizia una seconda storia interna alla prima, veramente niente male. Visto con grande soddisfazione!
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