Save the Green Planet - CineFatti

Ari Aster, Save the Green Planet!

Un remake americano ch’è tutto un motivo di gioia

Voi ne avrete pure le palle piene del cinema coreano dopo la vittoria di Parasite, vorreste tornare all’anglofonia senza che nessuno venga a disturbarvi con strane lingue asiatiche da cinefilo dell’era dell’internét, ignari che ormai la vera frontiera del film buff italico si trova a metà strada fra il sud est asiatico e il Portogallo. L’amica Corea è una vecchia storia e a quell’appassionante racconto appartiene il nostro protagonista, Save the Green Planet.

Siete stati sommersi da liste infinite di film coreani da recuperare dopo l’intera filmografia di Bong Joon-ho e molte le ho lette: a memoria credo nessuno citasse uno dei cult della hallyu cinematografica, questa bizzarria ispirata a Stephen King e con uno stile registico meno hollywoodiano e più vicino ai cugini europei Jeunet e Kusturica. Ecco, in quelle liste è venuto a mancare uno dei miei film coreani del cuore, il migliore di fantascienza.

Sarà la vicinanza col Giappone a intimorire l’Asia continentale, quando parliamo di fantascienza sono veramente pochi quei titoli di rilievo provenienti dalla Cina o altrove. In realtà anche meno di quanto vorrei ammettere, pur essendo ormai dichiarato l’obiettivo di superare questo ostacolo. Save the Green Planet di Jang Joon-hwan dovrebbe essere l’animale guida di questo passaggio, o meglio, avrebbe dovuto esserlo. È del 2003.

Annus tutt’altro che horribilis

Il piccolo Jang Joon-hwan uscì nel pieno della gloria degli altri giganti della penisola. Guardiamo un attimo chi si aggiudicò la sala in quello stesso anno, giusto per renderci conto:

  • Memories of Murder di Bong Joon-ho;
  • Oldboy di Park Chan-wook;
  • Silmido di Kang Woo-suk;
  • Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera di Kim Ki-duk;
  • A Tale of Two Sisters di Kim Jee-woon;
  • Once Upon a Time in a Battlefield di Lee Joon-ik.

Come potrete capire non è necessaria una cultura del cinema sud coreano per rendersi conto della concorrenza ricevuta quell’anno da Save the Green Planet! la cui sfortuna peggiore fu la lunghissima assenza dietro la macchina da presa del suo regista esordiente Jang Joon-hwan. Chi corre verso una cinematografia straniera tende a guardare per blocchi registici e un film senza famiglia spesso è lasciato a casa come Kevin McCallister.

Oggi il suo destino è cambiato, Jang Joon-hwan nel 2017 è diventato il regista di 1987: When the Day Comes, un film considerato da molti – non da me, sono onesto con voi – uno dei migliori dell’ultimo decennio. No, per me il buon Jang è Save the Green Planet! e il suo essere lasciato in un angolo dallo spettatore occidentale medio è un dispiacere che presto potrebbe essere vendicato: Ari Aster ne produrrà un remake in lingua inglese.

Orrore, raccapriccio e… tripudio!

Potrei piangere al pensiero di un remake dagli states come la storia recente ci ha abituato, oppure potrei decidere di guardare al lato positivo e giudicare una bellissima notizia il ritorno di Save the Green Planet! sulla bocca del mondo. Al di là di qualsiasi altra cosa dirò nelle prossime righe, esiste un dettaglio da tenere in considerazione: Ari “Midsommar” Aster farà dirigere il film a Jang Joon-hwan stesso, a diciassette anni dalla sua uscita.

È vero, in tanti preferiranno attendere il remake per scoprirlo. Rivederlo questo fine settimana non è stato facile, col tempo è diventato introvabile e l’assenza di un’aura attorno al suo autore ancora pesa sul suo destino. Ma sappiamo com’è la rete: siamo noi blogger a impilare insulti come “figurati se hanno visto l’originale”. Da immaginare detto con tono sprezzante, sigaretta con bocchino fra le dita e abbigliamento da peaky blinder sagliuto.

Il che si tradurrà in rincorse per quei famosi rewatch. Vedete, la comunità cinefila italiana è talmente tossica da avermi fatto rivalutare come un elemento positivo la nostra ipocrisia. Potreste benissimo obiettare che questo mio articolo è un voler correre d’anticipo per dire: “sì sì io l’ho visto quando nemmeno Jang Joon-hwan sapeva sarebbe nato!!”. Amen, non mi interessa: voglio bene a Save the Green Planet! quindi… diamoci tutti al rewatch!

Fine della digressione

Mi rendo conto di quanto divento verboso quando parlo di cinema coreano, però è uno dei pochi argomenti che mi sveglia. Voi c’avete la partita Juve-Napoli e io il chi è più figo fra Oh Dal-su e Yoo Hae-jin. Insomma, vorrete sapere cosa diamine ha di bello Save the Green Planet, se no che siete sopravvissuti a fare oltre la lista di film coreani? È fondamentalmente la storia di un complottista pazzoide che potrebbe avere ragione.

Shin Ha-kyun è il nostro “eroe” convinto che la Terra stia giungendo alla fine: in 7 giorni ci sarà l’eclisse lunare e in quella stessa notte gli alieni di Andromeda che controllano il mondo porranno fine al nostro pianeta. L’unico modo per fermarli è bloccare il segnale: rapire il presidente della Yaeju Chemicals, l’unico andromediano con sangue reale nel suo DNA. L’unico i cui capelli possono comunicare con l’astronave madre.

Colto alla sprovvista, l’imprenditore interpretato da Baek Yun-shik è subito rasato a zero, scartavetrato sui piedi e minacciato con enormi dildo a vapore, scariche elettriche da 200 volt e ferri da stiro sui capezzoli per spezzarne la volontà e farlo confessare: Andromeda sta per distruggere la Terra. Teorie talmente assurde, degne del miglior complottista immaginabile, potrei persino azzardare la definizione di paleo-grillino.

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C’è un po’ di monolitico-weird Kubrick

Come sei acido!

Chi ebbe successo dopo Save the Green Planet! fu l’uomo che inzuppò la pellicola nell’acido: Hong Kyung-pyo. Forse lo ricorderete per essere arrivato ai giorni nostri curando la fotografia dei due big del 2019: Burning e Parasite. Hong colora lo scantinato del complottista con la palette di un’astronave aliena, combina lo sporco e la vita disegnata da un H.R. Giger ai colori out of space delle astronavi avversarie della next generation di Star Trek.

Entrare negli spazi controllati dal personaggio di Shin Ha-kyun equivale ad accedere alla sua mente malata. Seviziata. Maltrattata. Pestata a sangue. L’ordine esterno è in netta contrapposizione con la fiera dell’assurdo, coi dialoghi interpretati su montaggi di studi, disegni e grafiche incrociate per raccontare la qualunque. Il regista Jang e il DoP Hong hanno un solo obiettivo: entrare nella testa della rapitrice Annie Wilkes.

Vi avevo accennato la presenza di un elemento kinghiano ed eccolo qui: Jang Joon-hwan si ispirò al romanzo Misery non deve morire (magari soprattutto al film) e decise di raccontare la storia non dal punto di vista di Paul Sheldon, ma della buona e dolce fan numero uno Annie. Chi lo ha visto ricorderà senz’altro una diretta citazione e potete benissimo immaginare quale scena in particolare è stata ricreata nel cult sud coreano.

Puzza di politica…

Cambiare prospettiva svela un bivio: vuoi empatia per il protagonista oppure raccontare una storia attraverso gli occhi di un pazzo? Vi rovino la sorpresa: Jang Joon-hwan sceglie la prima. A chiunque si avvicini a fare cinema in Corea è difficile non si accenda il desiderio di raccontare il disastro socio-politico della sua storia recente, ragion per cui al rapitore di Save the Green Planet! è assegnato un ruolo sicuramente da antieroe positivo.

Nella mia memoria era rimasta fresca l’immagine di una commedia fantascientifica, non ricordavo quanto fosse forte il dramma. Forse non lo capii manco per il cavolo quando lo vidi per la prima volta, diciamocelo. Jang Joon-hwan dirige uno spettacolo di primi piani distorti alla Kusturica e azione fantastico-fantascientifica alla Caro-Jeunet allo scopo di eleggere presidente un messaggio politico: dal dolore non si torna indietro.

Chi segue cinefatti su instagram avrà visto la citazione scelta per il post: “Il dolore è qualcosa a cui non puoi mai davvero abituarti“. Ed è tanto nella vita del protagonista, dell’unico uomo che può salvare la Terra dal pericolo imminente in discesa da Andromeda. Esposto con discreta piacioneria in un montaggio degno di un Lacrimosa mozartiano, ma di enorme impatto visivo se contrapposto al precedente spettacolo acido.

Salviamolo ‘sto pianeta

Svelerei dell’altro se non rischiassi di rovinare alcune sorprese sul percorso. Save the Green Planet non attinge la linfa vitale da una sequela di colpi di scena, concentra l’attenzione sullo svelamento del trauma fisico e mentale subito dal suo protagonista. È relativo cosa accadrà nel resto del film di Jang Joon-hwan se lo scolleghiamo da quel dolore, ogni desiderio è stravolto dalla realizzazione della sofferenza. Assume dimensioni globali.

Anni e anni fa lo amai per il suo aspetto divertente, oggi lo rivaluto in quanto dramma: il regista voleva attraverso un individuo atipico narrare le ferite aperte dalle ingiustizie di cui la Sud Corea è stata vittima per un intero secolo, prima dal Giappone poi dalle dittature interne. Lo ricorderò sempre: fino alla conclusione degli anni Ottanta anche la Sud Corea come il nord era afflitta da una dittatura, questa però col beneplacito degli USA.

Questa storia, questa divisione interna emerge nell’ironica sorte del nostro antieroe.

Il finale sui titoli di coda scalda un cuore spezzato.

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