Molly’s Game, una storia di menti vincenti à la Sorkin.
Prima regia per Aaron Sorkin, lungimirante sceneggiatore di storie da vincenti (Steve Jobs, L’Arte di vincere, The Social Network) pur se con i pro e i contro del caso.
C’è sempre un prezzo da pagare dietro ogni successo della vita, temporaneo o permanente che sia, e Molly’s Game ne è l’ennesima conferma che ben si sposa con le storie già affrontate nella filmografia di Sorkin come sceneggiatore.
Da promettente sciatrice a regina del poker
Molly Bloom/Jessica Chastain è una promettente stella della neve: duri allenamenti per diventare una sciatrice professionista, sostenuta da un padre/Kevin Costner ostinato a tratti burbero, nella speranza di vincere delle Olimpiadi che a causa di cadute ed incidenti di percorso si allontanano ad ogni tentativo.
La ragazza però è in gamba: ogni caduta, ogni sciata persa è una nuova sfida per trasformare la rabbia di un fallimento in una nuova sfida esaltante.
Molly vuole condurre la sua vita, dominarla e tenere duro perché sa di poterlo fare. Vuole dimostrarlo a se stessa e forse non solo.
Messo da parte il sogno di sciare, deve pensare a come rendersi autonoma, indipendente e vincente.
Parte con lavori saltuari, tra cui finisce per diventare assistente di un organizzatore di partite di poker: lì impara ad osservare attentamente i giocatori, conosce e inizia a studiare l’ambiente del poker.
Non le interessano tanto le regole del gioco, ma piuttosto il comportamento e le personalità che vi prendono parte. Diventa così brava da assumere presto il ruolo di organizzatrice, costruendosi un impero.
La prima impressione è quella che conta? Non sempre!
A guardare il trailer di Molly’s Game può partire un certo scetticismo, pur trattandosi di un film che è stato candidato agli Oscar per la migliore sceneggiatura non originale.
Vedi la prorompente Jessica Chastain, senti parlare di poker, soldi e pensi di avere davanti la classica storia di milionari da sesso, droga e rock and roll, che passeranno dalle stelle alle stalle.
O magari pensi che sia la solita solfa del se ti impegni e fai tanti sacrifici al traguardo dei sogni ci arrivi. Per fortuna non è così.
In realtà la storia di Molly Bloom è vera, è interessante e merita di essere raccontata anche attraverso il cinema, dandole forse una veste diversa da quella di una pubblicazione intitolata Molly’s Game: From Hollywood’s Elite to Wall Street’s Billionaire Boys Club, My High-Stakes Adventure in the World of Underground Poker.
Insomma, quei classici libri di “formazione” all’american style che devono dare soldi a chi li ha persi tutti.
Ritmo ed equilibrio: le carti vincenti del Molly’s Game
Quello che ci convince del film di Sorkin è d’altra parte la sua specialità: un’ottima sceneggiatura, sorretta da un montaggio ben ritmato – sicuramente una chiave di lettura funzionale al genere – che fonde in maniera equilibrata gli snodi narrativi del film.
All’azione di fondo della narrazione del dietro le quinte della vita da regina del poker – e qui già c’è una bella novità che rende la storia stuzzicante – si aggiungono le altre due partite fondamentali di Molly.
Quella con l’avvocato che dovrà difenderla e che la guarda con lo stesso cliché dell’atteggiamento scettico che può avere lo spettatore davanti al genere.
E poi quella col padre, una bella lotta psicologica dove il personaggio mantiene sempre la propria intraprendenza senza (s)cadere nel melò.
Notevole anche l’immagine che Jessica Chastain dà alla sua Molly: una principessa bella, forse anche un po’ dannata, ma ordinaria, e che soprattutto vuole sedurre con la mente. Non per portarsi a casa o a letto il principe azzurro di turno, ma per costruirsi una vita con le sole proprie forze in un ambiente non esattamente amico delle donne di polso e cervello.
Valentina Esposito
Voto: 3.5/5