Sconvolge il botteghino La forma della voce, secondo appuntamento anime per la stagione Nexo Digital, piazzandosi al solo primo giorno d’uscita al secondo posto. Tradotto dall’omonimo manga di Yoshitoki Ōima, ne nasce un film d’animazione, diretto dalla regista Naoko Yamada, dove dolcezza e forza si mescolano fino a dissolversi fra loro.
La solitudine altra
Protagonista è Shōko Nishimya (voce di Roisin Nicosia), una ragazzina dal visino dolce e sorridente. Porta con sé un quaderno nel quale poter esprimere quanto la sua voce non può: la voglia di conoscere gli altri, di integrarsi e giocare insieme ai suoi nuovi compagni di classe.
Non udente, cerca il suo posto nel mondo fra gli altri, ostacolata da Shōya, un compagno dispettoso che forte del sostegno degli amici la prende di mira. Un bullo capriccioso, non di quelli classici cattivi, ma che per difendersi dalla curiosità per il diverso e garantirsi il suo posto nel branco, lo attacca piuttosto che familiarizzarci.
La vita però inevitabilmente segue un suo affascinante corso e fa giustizia: la solitudine sarà una compagna che ben presto farà visita anche a lui (voce di adulta di Federico Campaiola), ma sarà un viaggio necessario, una spirale di emozioni contrastanti attraverso cui conoscere se stesso e l’altro.
L’approccio orientale
Una tematica come quella del bullismo avrebbe rischiato in una produzione occidentale di trasformarsi in un film educativo e semplicistico, da allacciare ad altrettanti temi in voga come diversità e integrazione, parole oggi abusate e svilite, slogan pubblicitari, che ci allontanano dal senso profondo delle stesse parole ridotte a concetti e spogliate della sostanza.
Gli orientali invece riescono ancora a percepire il mondo in maniera diversa: sono capaci di trascendere il quotidiano, scovarne il bene e il male, spolparlo in ogni sfaccettatura, facendone poesia. Forse è anche per questo che dell’animazione sono maestri, perché hanno compreso quanto la fantasia sia l’arte più adatta ad andare oltre la patina della comune visione.
Contatti umani
Ne La forma della voce accade esattamente questo, una ragazzina che non sente e vorrebbe sentire deve affidarsi all’oggetto, allo sguardo, al corpo, al sorriso e al pianto per poter manifestare la sua presenza nel mondo.
La sua voce, è solo un gemito.
Un ragazzino che invece può sentire e parlare, attestare quindi la sua presenza al mondo con facilità, vorrebbe invece scomparire, nascondersi nella tranquillità dell’invisibilità per non incontrarsi con il mondo, per lui un ostacolo, un nemico, diverso e sconosciuto. Come possono questi due piccoli mondi umani così diversi ma paradossalmente complementari comunicare tra loro?
È proprio questa ricerca di comunicazione, fantasiosa e imprevedibile, a renderlo possibile. E non c’è bisogno di tecnologia, che magari è solo uno dei tanti modi di comunicare, e mai il solo, ma è il contatto umano più elementare a essere la chiave di svolta.
La gestualità del linguaggio, che può essere anche quello dei segni, le forme di un gesto inaspettato, ma soprattutto il confronto e l’ascolto, l’umiltà di dire vorrei che tu mi dessi una mano a vivere.
Solitudini simbiotiche
Shōko e Shōya, un’assonanza tra i nomi forse non così causale, sono le due essenze primitive della voce, il suono e il corpo che hanno bisogno l’uno dell’altra per coesistere, un respiro prenatale, come il critico letterario Paul Zumthor definiva la voce, che ne La forma della voce si trasforma in una storia di ricerca interiore, d’amore e redenzione.
Seppur con qualche ridondanza nei dialoghi della seconda parte, A Silent Voice riesce ad amalgamare con ritmo e soprattutto originalità temi tipici della letteratura di formazione, in particolare quello del cambiamento interiore. Il cambiamento è sempre un’esigenza, la scelta di un percorso focalizzato sulla conoscenza di se stessi.
Non avviene mai grazie ad eventi o persone intorno a noi, che possono però diventare preziosi compagni di crescita se siamo già predisposti a cercarne il misterioso senso della loro presenza nelle nostre vite.
Un pensiero su “La forma della voce (Naoko Yamada, 2016)”