Ferrante Fever - CineFatti

Ferrante Fever (Giacomo Durzi, 2017)

Si trasforma in Ferrante Fever il caso letterario della napoletana geniale.

“Fuori dai miei libri cosa sono? Una signora non diversa da tante altre”, questa la risposta acuta e sottile di Elena Ferrante, la scrittrice napoletana e caso editoriale degli ultimi anni che ha conquistato gli Stati Uniti prima ancora dell’Italia, e che ha scelto di metterci il libro piuttosto che la faccia.

Questa l’essenza di  Ferrante Fever, il film-documentario del regista Giacomo Durzi, presentato in anteprima nazionale al Napoli Film Festival e che sarà in uscita nelle nostre sale il 2-3-4 Ottobre. Si tratterà quindi di un film-evento, e per ironia il caso Ferrante rappresenta un po’ un evento unico nel suo genere, e che forse non si ripeteva da un bel po’ di tempo.

La febbre italiana

Alla storia della letteratura scrittori misteriosi non ne mancano – se pensiamo che ancora oggi ci chiediamo e indaghiamo su quale sia la reale identità di Shakespeare – ma oggi, nella società dello spettacolo e dell’immagine, dove apparire e costruirsi un brand è tutto, una scrittrice che decide di non mostrare il suo volto, di non partecipare ad incontri, rinunciare alla facile notizia e agli entusiasmi  dal vivo dei suoi appassionatissimi lettori, sembra proprio costituire un caso letterario a parte.

Un caso tutto italiano, che però è diventato soprattutto americano, perché ad ispirare il titolo del documentario è una febbre tutta americana: parte infatti dagli Stati Uniti un raduno serale che porta per l’appunto questo nome.

Carrellata di fanomeni

I Ferrante addicted organizzano serate in libreria per condividere la propria passione, insieme anche alla sua traduttrice americana ufficiale, Ann Goldstein, tra i volti scelti da Durzi per raccontare il fenomeno Ferrante. Agli americani, a differenza degli italiani, non importa chi sia. Curiosi certo lo sono anche loro, ma è come la scrittrice napoletana sia riuscita a trasformare la lettura in un’esperienza viva a conquistarli.

Alle testimonianze di volti noti quali Mario Martone, Roberto Saviano, Nicola Lagioia, Jonathan Franzen, Roberto Faenza, per citarne alcuni, si alternano stralci e considerazioni tratti da La Frantumaglia, libro che si addentra nel laboratorio creativo della scrittrice, raccontando la nascita dei suoi libri di successo, ancora una volta parlando del suo lavoro, mai di se stessa.

A leggere queste tracce letterarie è Anna Buonaiuto, la Delia de L’amore molesto di Martone, e prima attrice ad aver indossato i panni di un personaggio della Ferrante, sulle cui parole si formano volti e disegni che tentano di dare un volto a personaggi di storie ormai cult, prima fra tutti la tetralogia de L’amica geniale.

Napoli da immaginare

È questa alternanza a rendere piacevole la visione del documentario di Durzi, da cui  traspare l’esigenza non di documentare il caso con le sue molteplici sfaccettature ma soffermarsi sulla lezione che ci offre Elena Ferrante: quella di leggere la parola generando noi l’immagine, senza linee guida, senza influenze, censure o preconfezionamenti. Un totale e fantasioso abbandono, che altro non è se non il potenziale primo dell’atto della scrittura, e quindi della letteratura.

Ferrante Fever è un cocktail leggero, stimolante e accattivante. Peccato solo per quella mezz’oretta di troppo che genera un effetto ridondante, rischiando di perdere l’attenzione dello spettatore proprio sul finale. Ma si sa, muoversi tra la frantumaglia di una storia non è mestiere facile, addentrarvisi però non è da tutti.

Valentina Esposito

Voto: 3/5

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