Un nuovo Ritratto di famiglia per Kore’eda, corredato di tempesta.
È curioso come talvolta si individui la normalità sullo schermo quando a essere raccontate sono storie con protagonisti fallimenti e inciampi. Vediamo nel Cinema solo un’orgia di successi e sogni conquistati? Nei loro opposti soltanto sappiamo riconoscerci, in personaggi come quelli di Hirokazu Kore’eda in Ritratto di famiglia con tempesta.
Dopo la tempesta
Ryota/Hiroshi Abe vive congelato nel suo quarto d’ora di fama, quando vinse un (quasi) importante premio letterario al suo debutto quindici anni prima. Da allora è caduto nel sogno di una vita da scrittore, precipitato in un lavoro come investigatore privato, prima cercato con la scusa dello studio per il secondo romanzo, poi divenuto la quotidianità.
Ha le tasche vuote e il vizio del gioco come il padre appena defunto, la prima tempesta, citando il titolo originale After the Storm, ha divorziato da poco e neanche un soldo per permettersi un mantenimento adeguato a delle visite regolari al figlio, o per dare alla madre ora vedova la tranquillità di una stabilità economica e sentimentale.
“Uno di questi giorni…”
Siamo in un giorno qualunque della loro vita e al contrario di Still Walking di Kore’eda, in Ritratto di famiglia con tempesta non vi è mai la promessa, anche se vuota, di allungare la mano verso un miglioramento. Nessuno desidera riprendersi “uno di questi giorni”, il mantra del film dove Hiroshi Abe e Kirin Kiki già furono madre e figlio.
In Ritratto di famiglia abbiamo una nuova tempesta in arrivo, la numero 24 dell’anno, e il riflesso dei difetti di un defunto nella vita di Ryota: come il padre è dedito al gioco, come il padre è un pessimo genitore, come il padre è poco responsabile. Un dolore per la madre, affondata, al contrario di Ryota, nella rassegnazione di aver fallito col figlio.
Il vortice
Kore’eda Hirokazu dirige il suo film più autobiografico come una chiacchierata tra amici davanti a un caffè. Apre al suo alter ego Abe le strade e il quartiere dell’infanzia, lo inserisce su quella strada sbagliata a cui ognuno di noi col senno di poi guarda con un misto di orrore, pietà e l’immancabile pizzico di tenerezza.
Un ciclo di emozioni in cui siamo trascinati dalla semplicità di Kore’eda in una struttura a imbuto, giù verso il restringimento dove saremo in compagnia dei protagonisti con l’avvicinarsi della tempesta. Ritratto di famiglia schiaccia lo spettatore in fondo, nei primi piani, creando la sensazione di poter sentire la spalla dei personaggi stretta alla nostra.
Un caldo Kore’eda
Ritratto di famiglia è un pendolo ipnotico in caduta libera verso il pubblico, mai prossimo all’arrivo e intriso di una magia incantevole incastonata nelle due innaturali prove di Abe e Kiki. Tanta bravura non è di questo mondo. Ricorda la straordinarietà dell’uomo, come possiamo definire altrimenti questo talento nell’osservare e essere osservati?
Un primo piano di Abe è un film a sé stante. Un movimento di Kiki, lo stesso. Kore’eda forse con Ritratto di famiglia con tempesta non ha toccato l’apice della sua carriera, sono altre le meraviglie composte da quest’uomo incredibile, però ha raccontato una storia priva di sbocchi davvero positivi occupando ugualmente lo schermo col calore umano.
Ora vi lascio a un brano del musicista Hanaregumi, la voce musicale del film. Servirà a farvi capire di cosa sto parlando, come assaggio. Andate al cinema!
Fausto Vernazzani
Voto: 4/5