Lion, un papabile fallimento che imbocca la strada verso il successo – di Fausto Vernazzani.
Se ogni anno Hollywood dedica una larga percentuale del suo tempo alla produzione di film biografici è prima di tutto per un motivo: all’Academy piace candidare all’Oscar commoventi storie vere di rivalsa, tragedie indicibili da tutto il mondo, commemorare grandi personaggi dei nostri tempi o mostrare una fetta di terzo mondo come in Lion – La strada verso casa.
Esistono migliaia di universi paralleli in cui Lion fallisce, impedisce al pubblico di guardare lo schermo con le dosi eccessive di miele lanciate sui loro occhi, ma in questo dove viviamo Garth Davis è riuscito a mantenere l’aplomb e trasformare la storia vera di Saroo Brierley, raccontata nel libro La lunga strada per tornare a casa, in una commovente storia d’amore filiale.
Il racconto di Saroo è una storia vissuta dentro i confini della sua persona, un ragazzo indiano adottato da una famiglia australiana che in un certo momento della sua vita decide di mettersi sulle tracce della sua perduta famiglia biologica, situata in uno dei milioni di piccoli villaggi indiani, da cui sparì a causa di una distrazione sua e di suo fratello quando aveva ancora pochi anni.
Verità, tra cliché e realtà
Per interpretare la vicenda di Saroo, Davis ha ingaggiato un doppio approccio: metà film sarebbe stato ambientato in India col Saroo piccolo, Sunny Pawar, l’adorabile e straordinario bambino del 2016 dopo il Jacob Tremblay (Room) del 2015, e Dev Patel in un altro ruolo degno di lui dopo L’uomo che vide l’infinito per la metà australiana.
Entrambe toccano le giuste corde, forse peccando di pietismo nella prima, scrivendo la vita di un’India povera e crudele come già fece Danny Boyle in The Millionaire, ma convincendo ugualmente con la sua fedeltà alla verità e con l’impegno a coinvolgere quella popolazione del mondo con gli occhi girati dall’altra parte. È duro da vedere, ma qualcuno doveva pur mostrarlo.
E c’è del coraggio nel portare nelle sale un film che per quasi metà della sua durata si affida alla lingua originale e lascia il pubblico coi sottotitoli per un tempo a cui non è abituato, ripagandolo però con la pulizia e la calma perfezione delle coste australiane, dove Nicole Kidman, David Wenham e Rooney Mara riportano tutto nell’ordine che conosciamo.
Luce sul disordine
Quell’ordine però è come il bianco universo del Funny Games statunitense di Michael Haneke, è una facciata dietro cui si nasconde lo sporco di un mondo ancora incapace di pensare a se stesso come a un luogo unico, dove è necessario e giusto prendersi cura l’uno dell’altro, così come la storyline di Nicole Kidman, madre adottiva, lascia intendere.
È infatti doveroso notare come sia nel look esterno e non tanto nelle inquadrature il maggior apporto di Davis, un debutto importante, ma senza sprazzi di genialità o gran talento nella forma tanti quanti ve ne sono invece nella costruzione dei colori e delle scenografie, curate per creare il netto contrasto tra le due realtà così come i punti di incontro nel lacrimevole finale.
Con Lion ora candidato agli Oscar 2017 è giusto tornare indietro a parlarne, magari ridimensionando il ruolo di Nicole Kidman, di sicuro brava, ma non tanto da meritare una candidatura, e ristabilendo il ruolo da protagonista di Patel – retto come si deve -, candidato invece come miglior non protagonista a causa di stupide falle nel regolamento dell’Academy. Stupide, va ripetuto.
Possiamo essere certi che Lion non porterà a casa alcuna statuetta, la concorrenza di Moonlight e La La Land è forte, e che non sarà un film il cui destino è rimanere impresso nella memoria, ma è sicuro che tra le visioni del 2016 è una delle più calorose. Quando coi titoli di coda di Lion alle spalle si esce dalla sala ci si ritrova con un rinnovato affetto per i propri cari… e Google Earth.
Un bel film, l’unica cosa che non sono riuscito a capire é perché Dev Patel sia considerato non protagonista quando l’intero film é costruito intorno al suo personaggio. Concordo anche sul fatto che Nicole Kidman é brava in questo film ma non tanto da meritare una candidatura, perché da quello che ho visto il suo personaggio non occupa tante scene del film. Comunque contento di averlo visto.:-)
"Mi piace""Mi piace"
Il regolamento lascia piena libertà ai votanti di scegliere la categoria dove votare un attore, dopo l’Academy lo inserisce nella cinquina in cui ha avuto più voti. Se 10 dicono che Patel è protagonista, ma 11 decidono per non protagonista, sarà la seconda quella dove sarà candidato. Non ha alcun senso per come la vedo io, dovrebbero inserire un minimo di regole base, questa nomination è totalmente senza senso. Quella alla Kidman mi ricorda molto la Judi Dench agli Oscar per quei pochissimi minuti da Regina Elisabetta in Shakespeare in Love. Probabile che non avessero idea di chi candidare e si sono buttati su un’attrice che avevano visto, poi piange, e quando piangi in un film poco ma sicuro che ti becchi una nomination! :D
"Mi piace""Mi piace"
Grazie dell’esauriente risposta sul regolamento dell’Academy che anch’io credo vada strutturato
meglio, per evitare infatti scelte insensate. :-)
"Mi piace""Mi piace"