Il GGG di Steven Spielberg.
Sposta lentamente le lancette dellorologio sulle tre (la vera ora delle streghe, non certo mezzanotte) e nella sua camicia da notte svolazzante si accosta alle finestre per ascoltare gli schiamazzi sconnessi degli ultimi avventori di un pub. Il dormitorio dellorfanotrofio è riscaldato dai respiri profondi dei bambini addormentati. Solo Sofia è sveglia, come ogni notte, le orecchie tese ad ascoltare.
Là fuori, al buio, un gigante dal viso rugoso e la falcata poderosa si aggira per le strade di Londra, protetto da un ampio mantello nero con cui nascondersi agli occhi di chi non vuole o non sa vedere. Una notte, infilata lenorme mano attraverso il balcone dell’orfanotrofio, cattura la piccola Sofia e la conduce con sé al villaggio dei giganti.
Era il 1982 quando lo scrittore inglese di origini norvegesi Roald Dahl dava alle stampe Il Grande Gigante Gentile, il racconto della delicata amicizia tra un gigante dal cuore tenero e unorfanella che legge Dickens.
Il libro catturò subito il cuore di moltissimi bambini grazie allinarrivabile capacità dellautore di raccontare in modo semplice e diretto, senza mai nascondere il dolore (che lui ben conosceva: la figlia Olivia morì a sette anni di morbillo) ma dandogli una via di fuga attraverso la creazione di universi fantasiosi. È così anche ne Il GGG dove il protagonista è un gigante sensibile e delicato, che si esprime con un linguaggio strampalato e si aggira di notte per le strade di Londra con la sua inseparabile tromba soffia-sogni.
Un buon adattamento
Nelladattamento per il grande schermo di Steven Spielberg, la poesia del racconto resta intatta grazie alla sensibilità di un regista (e della sceneggiatrice Melissa Mathison) da sempre molto attento e vicino al mondo dei bambini.
Pur non riuscendo a rendere fino in fondo la vena grottesca di Dahl, Spielberg lascia il segno con il lirismo di alcune scene (una su tutte la caccia ai sogni del gigante e Sofia) ma si perde un po per strada non riuscendo a rendere appieno linventiva della pagina scritta.
Ad esempio, nella resa del villaggio dei giganti: ridotto, in sostanza, ad una vasta radura con prati e grandi rocce.Ben più caratterizzata dallo scenografo Rick Carter tutta la parte del film ambientata tra gli esseri urbani, ovvero la trasferta a Buckingham Palace per convincere sua Maestà e la guardia reale a catturare i minacciosi giganti.
Qui, nelle maestose stanze reali, il gigante gentile con i suoi quasi otto metri di altezza si aggira carponi per non mettere a repentaglio il prezioso mobilio, divide con la regina/Penelope Wilton le bollicine del suo sciroppo frizzoloso, beve tè da un annaffiatoio e divora migliaia di tartine.
Citazioni ed auto-citazioni
È questa una delle parti più godibili del film, una favola per bambini e adulti imbastita da un regista attento e misurato, che cita (impossibile non pensare a King Kong osservando la manona del gigante tenere protettiva Sofia) e si auto-cita (il dito contro dito dei due protagonisti rimanda direttamente a quello iconico di Eliott e E.T.).
Una favola che conquista soprattutto grazie alla presenza gentile di Mark Rylance (già con Spielberg ne Il ponte delle spie per il quale ha vinto lOscar come Miglior attore non protagonista), qui pronto a mettere al servizio della performance capture voce, movenze ed espressioni.
Il suo gigante (un nano per gli altri giganti bulli che si divertono a schernirlo e strapazzarlo solo perché si ostina a nutrirsi di disgustosi centrionzoli anziché di pargolini) è amichevole, scherzoso e malinconico allo stesso tempo, delicato nei gesti e nelle attenzioni verso la sua piccola amica.
Meno efficace la Sofia tratteggiata dallesordiente Ruby Barnhill, troppo saccente per suscitare empatia. Forse anche per questo Il GGG parla al cuore ma – a differenza di E.T. Lextra-terrestre – non lo sconvolge e la magia si ferma un attimo prima di trasformarsi in incanto.