Fra cinema, arte e pubblico: parla François Truffaut – di Francesca Fichera.
Decenni di film e di scritti accomunati da un solo denominatore: il cinema. François Truffaut non ha mai smesso di esternare le sue riflessioni sulla Settima Arte, come testimonia – tra i tanti – il suo Il piacere degli occhi, riedito in Italia da minimum fax (2010).
Vivere un medium e il suo linguaggio dall’interno porta inevitabilmente a considerare il pubblico come parte fondamentale dello scambio creativo. Un’apparente banalità in realtà tutt’altro che scontata, e che il regista de I 400 colpi ci tiene a motivare così:
Il tradimento che piace
L’arte cinematografica può esistere solo mediante un tradimento ben organizzato della realtà. Tutti i grandi registi dicono NO a qualcosa. Ad esempio, nei film di Federico Fellini c’è il rifiuto degli esterni reali, nei film di Ingmar Bergman il rifiuto del sottofondo musicale, in Robert Bresson il rifiuto di utilizzare attori professionisti, in Hitchcock il rifiuto delle scene documentarie.
Se, ottantacinque anni dopo* la sua invenzione, il cinema esiste ancora, è grazie a […] una buona sceneggiatura, una buona storia raccontata con precisione e inventiva. Con precisione, perché in un film è necessario chiarire e classificare tutte le informazioni per mantenere vivo l’interesse dello spettatore; con inventiva, perché è importante creare fantasia per dare piacere al pubblico.
Spero che l’uso della parola PIACERE non scandalizzi il lettore. Buster Keaton, Ernst Lubitsch, Howard Hawks hanno meditato e lavorato più duramente di molti loro colleghi, sempre con l’obiettivo di dare un piacere maggiore. […] Questa cosa splendida che si intitola The Book of Cinema vi mostra macchine e uomini. Leggendolo e guardandolo si capisce che il cinema dà il meglio di sé ogni volta che il regista-uomo riesce a piegare la macchina al suo desiderio e, in questo modo, a farci entrare nel suo sogno.
*Il saggio in questione fu scritto da Truffaut nel 1979, come prefazione al libro The Book of Cinema di Don Allen.
