La ragazza senza nome - CineFatti, Recensione

La ragazza senza nome (Jean-Pierre e Luc Dardenne, 2016)

La ragazza senza nome, l’invito dei Dardenne a recuperare la nostra umanità.

Le donne dei Dardenne sarebbero le protagoniste ideali di una mostra di ritratti femminili. Angeli smarriti induriti dalla vita (Rosetta-Emilie Duquenne) anime vitali e accoglienti (Cécile De France solare parrucchiera in Il ragazzo con la bicicletta), pasionarie dai volti segnati dalla stanchezza (Marion Cotillard in Due giorni, una notte).

Distaccate, fredde e trattenute come Jenny Davin (Adèle Haenel) giovane medico condotto di un borgo nella periferia di Liegi. Ne La ragazza senza nome i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne seguono con distaccata precisione ogni suo movimento, le restano alle spalle mentre visita i pazienti e insegna il distacco a un giovane collega (“Un bravo medico non può lasciarsi coinvolgere, deve tenere da parte le emozioni“,  spiega a Julien) quando timida e poco partecipe brinda a una promozione.

Si avvicinano quando la sua figura esile, stretta nel cappotto ruvido, si incammina per strada alla affannosa ricerca di una verità che la aiuti a espiare un senso di colpa che è il suo ma potrebbe essere anche il nostro.

Jenny si sente in colpa per non avere aperto la porta dell’ambulatorio a una giovane immigrata trovata di lì a poco senza vita. Sarebbe ancora viva se avesse risposto alla sua richiesta di aiuto?

Un mystery per risvegliare le coscienze

Ancora prima che all’Europa e alla sua placida indifferenza, sembrano rivolgersi alla coscienza e alla responsabilità del singolo i registi due volte Palma d’Oro. Al posto di Jenny come ci saremmo comportati? È la scelta di Jenny (non aprire la porta dello studio perché l’orario di visita è terminato) a dare l’impronta al film, un racconto morale scarno e rigoroso, in puro stile Dardenne, che in modo inedito si sviluppa come un mistery.

La misteriosa donna trovata morta lungo il fiume è senza documenti e Jenny per darle pace (e dare pace a se stessa) inizia a portare avanti una indagine parallela a quella della polizia. Anche se lungo la strada del poliziesco il racconto perde a tratti forza (l’epilogo in particolare risulta un po’ frettoloso) ma la recupera ogni qual volta la macchina da presa stringe sul volto della protagonista, ricucendo gli strappi e riconsegnandoci in modo asciutto ed essenziale i dubbi che aleggiano sul volto pallido di Adèle Haenel.

E così siamo tutti la ragazza sconosciuta del titolo (in originale La fille inconnue) una vittima senza identità, ma siamo anche Jenny e la sua urgenza di assumersi una responsabilità personale, una  giovane dottoressa di cui non conosciamo altro se non la professione e le emozioni raggelate che i Dardenne le dipingono in viso.

Francesca Paciulli

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