Tom à la ferme (Xavier Dolan, 2013)

Il prodigio Xavier Dolan appare finalmente nelle sale con l’acclamato Tom à la ferme – di Elvira Del Guercio.

Ogni silenzio consiste nella rete di rumori minuti che l’avvolge: così Calvino coglieva audacemente l’intrinseca vitalità del silenzio, lo stesso che avvolge Tom, Francis e Agathe in Tom à la ferme. Le loro vite risultano cristallizzate nella debolezza e nell’insicurezza esistenziale, e in quei tentativi – di fuga – vani che Xavier Dolan, alla regia del suo terzo film, intende ancora rappresentare; poiché, d’altra parte, è l’interesse per la tragicità della vita accompagnata dall’amara dolcezza della fisionomia di brani jazz che vivifica l’opera di questo giovane cineasta.

La trama di Tom à la ferme è lineare, caratterizzata poi da sviluppi illogici e al limite del paradosso, attraverso l’efficace trasmutazione di un personaggio che sembrava, all’apparenza e in esordio, completamente statico e inerte, Francis: intorno alla sua persona e indole di non facile comprensione, orbiterà la spezzata psiche di Tom dopo la perdita del suo compagno, nonché fratello di Francis. Agathe, la madre di Francis e del defunto, dal canto suo, è lo spartiacque della vicenda ed un punto di unione spirituale tra i due giovani.

La drammaticità della vicenda ci è presentata fin dai primi minuti e la macchina da presa segue, con una sfumata reminiscenza kubrickiana, il percorso di Tom verso l’abitazione dei due. Il terzo occhio, pertanto, si avvicina lentamente alla figura del giovane e di quell’ultima sigaretta che inasprisce la sua disperazione, rendendola, nel contempo, di un’ eleganza sottile: la stessa disperazione che è invece urlata, come contraccolpo psichico, dalla voce di Kathleen Fortin e, particolarmente significativo è il suo canto a cappella, privo del maggiore trasporto emotivo che sarebbe scaturito da una qualsiasi corda musicale. Un canto duro e di un eloquente silenzio di sottofondo è quello che accompagna il percorso di non ritorno di Tom.

Entrato nella proprietà di Francis e Agathe, il giovane è improvvisamente sprofondato nell’opacità di un nulla grigio e inquietante, ritrovando quasi la stessa atmosfera del Bates Motel; ciò che caratterizza questa pellicola potrebbero essere due aggettivi, incredibilmente simili nella profondità del significato: desolazione e imperfezione. La desolazione risulta materialmente creata attraverso determinate trovate sceniche e cinematografiche, come l’uso particolare della fotografia che varia, nel colore e nelle gradazioni, a seconda che i protagonisti vivano scene di forte impatto visivo, emotivo o di piacere o, al contrario, di freddezza e impenetrabilità.

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In questa desolazione, in questo vuoto interno ed esterno che rimanda a di Edward Hopper, non a caso, poeta delle parole non dette e dell’eterna incomunicabilità, emerge l’imperfezione dell’uomo, colto nelle sue più palesi disfatte. Decisamente interessante, a tal proposito, è il personaggio di Francis insignificante, all’apparenza, ma sorprendentemente dotato di una complessa psicologia. Nella creazione del suo carattere e del suo modo di rapportarsi con l’altro, con il “diverso”, Xavier Dolan ha palesemente insistito sull’insoddisfazione radicale che si tramuta in violenza verbale e fisica; infatti, a causa del suo essere omossesuale, Tom è oggetto di intimidazioni e minacce da parte di Francis, solito contadino dalla mentalità conservatrice.

Tuttavia, nei momenti di maggiore vicinanza fisica, Tom percepisce un’attrazione irrazionale e un impulso a soccombere al suo tocco che gli risulta di un’intensità viscerale: il loro rapporto si fonda sullo stesso libero gioco di pulsioni e passioni di Brando e della Schneider in Ultimo tango a Parigi, impulsivo, lancinante e, soprattutto, vivo. Non a caso, Tom è oggetto tanto di violenza quanto di desiderio per Francis; desiderio che si estrinseca, non a caso, nella scena del tango danzato di nascosto dalla madre, caratterizzato da movimenti spezzati e brutali.

Si può dire che la sensibilità e l’acutezza d’analisi del regista canadese sia tale da far si che psicologie di una tale problematicità si palesino e si spoglino delle loro usuali “forme”, apparati superficiali che vengono dimenticati, in questa pellicola, nel bucolico ambiente campestre ed isolato; c’è, inoltre, una complice assenza dell’intervento esterno, per rendere ancora di più il senso dell’eloquente rappresentazione di tale umano frammentario.

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