La colonna sonora de La teoria del tutto - CineFatti

La colonna sonora di… La teoria del tutto

La teoria del tutto dalla prima all’ultima nota

L’inizio e la fine de La teoria del tutto, biopic di James Marsh sulla vita dell’astrofisico di fama mondiale Stephen Hawking, sono assai diversi; eppure, li accomuna qualcosa di altrettanto forte e potente, che io chiamerò speranza. Di sicuro una parola abusata, un concetto strumentalizzato ai limiti della volgarità, ma è impossibile non arrivare a interrogarsi su di un suo possibile (e forse decisivo) coinvolgimento nella tormentata esistenza di questo genio sulla sedia a rotelle.

Lo scrissi a suo tempo e lo ripeto ora: la regia di Marsh, dal piglio deciso e dalla personalità evidente, si dedica alla messinscena del cambiamento e delle sue (spesso tragiche) conseguenze sin dai titoli di testa: l’Hawking di Eddie Redmayne (meritevole dell’Oscar) viene mostrato e descritto come ragazzo colmo di vitalità, atletico, in costante movimento. Qualcosa che le prime battute della colonna musicale composta da Jóhann Jóhannsson riescono a tradurre sorprendentemente in suoni ed emozioni, trascinando lo spettatore fin dentro le strade del passato glorioso di Cambridge.

Con i suoi tripudi d’archi e pianoforte, l’autore islandese conquista il Golden Globe ed entra nella cinquina finale degli Academy Awards – pur non avendo alcuna chance contro la doppia candidatura di Alexandre Desplat – dove torna a figurare grazie alla soundtrack, di tutt’altro tono, del thriller Sicario. Il suo saper cogliere lo spirito più intimo dei film che si trova a musicare, insomma, non passa di certo inosservato, e nel caso specifico de La teoria del tutto è più che mai determinante: senza il toccante accompagnamento di Jóhannsson, si ha la sensazione che all’opera di Marsh mancherebbe tanto.

A cominciare dal finale, per esempio, uno dei momenti che la colonna sonora dell’islandese rende inaspettatamente commovente – inaspettatamente perché, di solito, i flashback sono più fastidiosi che altro – andando a chiudere il cerchio nella maniera che merita: con il giusto grado di coinvolgimento, a metà fra il disincanto e un melanconico e luminoso senso di felicità.

A voi l’Arrival of the Birds, dalla Cinematic Orchestra.

Francesca Fichera
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