Veloce come il vento - CineFatti

Veloce come il Vento (Matteo Rovere, 2016)

Stefano Accorsi corre veloce come il vento in una veste inedita.

Campionato GT, prima corsa dell’anno e Giulia De Martino concorre timidamente per la vittoria, finché il peggiore degli imprevisti non interrompe la gara: suo padre, a guidarla con suo zio nel box, ha un colpo al cuore e la lascia orfana ora di entrambi i genitori a soli 17 anni a occuparsi del fratellino Nico.

La Famiglia in pista

Scatta Veloce come il Vento, con una scena tragica a inaugurare la quarta opera di Matteo Rovere, un film sulle corse automobilistiche ispirato a una storia vera. E no, solo una scena è parente a Fast and Furious e nessuna “famiglia” se non un inedito Stefano Accorsi a reggere tutta l’opera sulle sue spalle con Matilda De Angelis.

Le carte sono subito in tavola, come quelle portate dall’avvocato di Loris De Martino (Accorsi), fratello di Giulia e Nico scappato/cacciato dieci anni fa, ex gloria del Gran Turismo, famoso come il Ballerino, adesso tossicodipendente squattrinato col solo obiettivo di raccogliere l’eredità dei genitori defunti.

Tuttavia non mancano ulteriori problemi, Giulia ha 17 anni e non può vivere col fratello minorenne Nico, a rischio di passare all’affido a una casa famiglia, inoltre la casa è oggetto di una scommessa. Se Giulia non vincerà il campionato, il loro avversario sarà il nuovo proprietario. Scenario ideale per costringere Loris e Giulia a un’’alleanza.

Domare i cliché

Veloce come il Vento è un’opera in bilico, a metà tra l’afferrare il prossimo cliché e il rigettarlo con violenza. Rovere mette in scena una trama convenzionale, almeno all’apparenza, la storia di una famiglia disastrata costretta a scendere a compromessi per risolvere i problemi comuni. Lo fa però stando ai propri termini.

Annulla la necessità di chiudere determinati archi narrativi con vittorie pulite, amnistie improvvise o redenzioni varie nei momenti più convenienti. La via di Veloce come il Vento non è la solita italiana o americana, le difficoltà restano salde sul terreno anche di fronte alla forza di volontà dei protagonisti, perché esse stesse sono i personaggi.

Un eccellente lavoro di squadra

È senza alcun dubbio l’aspetto vincente del film di Rovere, scritto da lui in collaborazione con Francesca Manieri e Filippo Gravino, penne con una decina di anni di ’esperienza e una carriera, per fortuna nostra e loro, in via di miglioramento.

Una tripletta di autori che sorprende con una capacità rara nel cinema italiano di creare e vivere l’’azione sul grande schermo, tale da mettere in mostra un talento da tener d’’occhio in futuro come il montatore Gianni Vezzosi.

A lui senza alcun dubbio va il merito di ’avere reso credibili ed emozionanti le numerose scene di corsa, tra cui anche una nelle strade del suggestivo capoluogo lucano, Matera.

We believe in D’Attanasio

Non possiamo poi mancare di citare colui che ormai è un nostro beniamino, Michele D’’Attanasio, nuovo fantastico nome della direzione della fotografia italiana, apprezzato negli anni e proprio di recente salito (ancora una volta) alla ribalta con le luci de Lo chiamavano Jeeg Robot.

D’Attanasio cambia registro, si adegua allo stile più naturale di Rovere rispetto al taglio da cinecomic di Mainetti – e sfruttando proprio quest’ultimo lancia a momenti alternati inquadrature inaspettate, carismatiche, traboccanti di una carica emotiva che aggiunge valore alla regia e alle interpretazioni di Accorsi e della De Angelis.

Rinascimento di Accorsi

Un Accorsi trasformato non possiamo mancare di menzionarlo, coi capelli lunghi, sporchi e disordinati, un principio di calvizie, denti anneriti e andatura traballante: il tossico Loris trascende la figura classica del drogato nel cinema italiano, va al di là delle dissertazioni morali e si presenta come personaggio puro.

Coi suoi difetti e i suoi pregi, il suo affetto scombinato e il talento per la corsa, così è completo, possiede uno spessore personale senza la necessità di costruirsi attraverso un percorso di miglioramento. Siamo certi di poterci permettere di affermare che Veloce come il Vento sia la migliore interpretazione della sua carriera.

p.s. potremmo esserci sbagliati, ma ci è parso sentire il Wilhelm Scream. In un film italiano fa un certo effetto. Bello, sia chiaro!

Fausto Vernazzani

Voto: 3.5/5

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