Saint Amour - CineFatti

Saint Amour (Benoît Delépine, Gustav Kervern, 2016)

Saint Amour, commedia alcolica poco riuscita dal duo belga Delépine e Kervern – di Victor Musetti.

Può lasciare molto sbizzarriti quest’ultima fatica del duo belga Gustave Kervern e Benoît Delépine da poco presentata Fuori Concorso al Festival di Berlino. Saint Amour, terzo loro film inedito in Italia dopo il discreto Le Grand Soir e il bel Near Death Experience presentato a Venezia due anni fa, si presenta infatti come un film assai più popolare di quanto ci si possa aspettare da chi ha fatto da sempre della sgradevolezza e del politicamente scorretto il proprio marchio di fabbrica. Sembra quasi, almeno nelle intenzioni, un Sideways in salsa belga, che all’eleganza borghese dei personaggi del film di Alexander Payne contrappone la rozzezza e l’ubriachezza molesta di due contadini valloni che di vino capiscono poco e niente.

Se infatti in Sideways il viaggo del vino portava i protagonisti a scoprire luoghi affascinanti e sapori raffinati di bottiglie di inestimabile valore, Jean e Bruno, il padre e figlio interpretati da Gerard Depardieu e Benoît Poelvoorde in Saint Amour, non fanno caso più di tanto a ciò che bevono e alternano bottiglie pregiate, tra cui quella che da titolo al film, a vini scadenti bevuti in bicchieri di plastica sul ciglio della strada. Il loro viaggio, a cui deve prendere parte anche un eccentrico e insopportabile tassista parigino (Vincent Lacoste), finisce per essere un modo per Jean e Bruno di ritrovare il loro rapporto perduto da tempo. Nel frattempo, alla fiera dell’agricoltura di Parigi, saranno attesi al loro ritorno per presentare il loro gigantesco toro da competizione di nome Nabuchodonosor.

Bisogna dire che il film aveva tutte le carte in regola per diventare un piccolo gioiello, anche solo per la scelta della sua coppia di protagonisti. Benoît Poelvoorde è sin dall’inizio il protagonista assoluto nel ruolo che gli riesce meglio, quello dell’ubriaco pazzo e ingestibile. Depardieu, che con Kervern e Delépine aveva già dato il meglio di sé nel meraviglioso Mammuth, ha invece un ruolo più misurato, che fa da contrappeso agli eccessi di Poelvoorde. È da lui che vengono infatti i momenti di emozione più sincera del film, soprattutto per l’uso che riesce a fare della sua ormai immensa stazza e della sua iconica pancia da bevitore incallito, elementi che lui utilizza proprio per sottolineare la profonda fragilità e inadeguatezza del suo personaggio.

Saint Amour è fondamentalmente un film di Poelvoorde e Depardieu. Sono loro infatti a reggere tutto l’interesse di una storia purtroppo decisamente sotto gli standard dei due registi belgi, con alcune cadute di stile in certi siparietti comici davvero non all’altezza dell’umorismo cinico e acutissimo cui ci avevano abituati in passato. Non si capisce poi come si sia potuto scegliere un attore così poco all’altezza nel ruolo del tassista parigino quando si sapeva che avrebbe dovuto confrontarsi con due mostri sacri come Depardieu e Poelvoorde. Stupisce anche la colonna sonora decisamente sottotono di Sebastien Tellier, che se poteva essere un punto di forza del film è invece uno degli aspetti in assoluto meno interessanti.

Se l’intenzione era unicamente di creare un film usa e getta per il grande pubblico (belga e francese specialmente), l’obbiettivo può dirsi sicuramente raggiunto. Nel film si ride, a volte anche tanto (i 10 step della sbronza sono sicuramente un momento esilarante). Ma dove il film fallisce è proprio nel tentativo di unire quest’anima da commedia popolare allo spirito più cinico e acuto che ci si aspetterebbe dai registi di Louise-Michel. Da segnalare la fugace apparizione dello scrittore Michel Houellebecq, già protagonista di Near Death Experience, come padrone di un improvvisato B&B, forse uno dei momenti migliori del film. Considerata la non distribuzione italiana dei due titoli precedenti c’è poco da sperare anche per questo…

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