Un tuffo nel passato con i dominatori dell’universo!
La pace su Eternia è minacciata dalle mire di potere del malefico Skeletor e della sua infida consigliera Evil-Lyn. Dopo aver catturato la Maga di Grayskull, l’uomo intende assoggettare l’universo, ma per farlo deve impadronirsi della chiave cosmica che gli garantirà libero accesso ad ogni galassia. Il magico oggetto è però protetto da un gruppetto di ribelli capitanato dall’atletico principe guerriero He-Man.
Ben prima degli Avengers i bambini adoravano loro: i Masters of the Universe (I Dominatori dell’Universo), eroici guerrieri in lotta contro Skeletor e i suoi diabolici seminatori di caos e distruzione. Era la seconda metà degli anni ’80 e i ragazzini impazzivano per la serie a cartoni animati Master of the Universe, e a Babbo Natale chiedevano le action figures Mattel ispiratrici dello show.
Portare al cinema quegli stessi bambini – e le loro famiglie – non doveva poi essere così complicato, e così ecco arrivare a gran velocità il film di Gary Goddard (creatore della serie animata Captain Power, altro cult anni ’80) rutilante mix di fantasy e fantascienza.
Una produzione al risparmio nel casting (nessun nome noto eccezion fatta per Frank Langella dietro la maschera, poco paurosa, di Skeletor) e nella confezione, che sceglie con intelligenza di ambientare gran parte della storia sul pianeta Terra senza dover così ricreare gli scenari avveniristici di Eternia.
Beata ingenuità
E così assistiamo al rocambolesco atterraggio di He-Man (Dolph Lundgren) della coraggiosa Teela, di suo padre Nam-At-Arms e del nano pasticcione Gwildor (Peter Jackson inorridirebbe di fronte alla bidimensionalità del personaggio). Dove? In California, nei pressi della tavola calda dove lavora la graziosa cameriera Julie (una giovanissima e paffuta Courteney Cox).
Quel che segue è una chiassosa ma gustosa altalena di eventi che condurranno inevitabilmente all’arrivo sulla Terra di Skeletor e dei suoi seguaci.
Sia chiaro gli effetti speciali sono poco speciali, il trucco è più naïf che impressionante (tra i male assortiti scagnozzi di Skeletor ce nìè persino uno che ricorda il mitico Megaloman) e la sceneggiatura di David Odell intenerisce per la sua ingenuità (i nostri eroi si salveranno grazie all’orecchio musicale di un tastierista da liceo) eppure il film si lascia guardare con piacere, senza mai prendersi troppo sul serio. Un po’ come il gigante svedese Dolph Lundgren che, per tutto il film, dialoga e combatte con la stessa espressione smarrita.
Il film avrebbe dovuto lanciarlo a Hollywood (soprattutto dopo la botta di notorietà di Rocky IV dove Lundgren incrociava i guantoni con Sylvester Stallone, per il quale era stato inizialmente pensato il ruolo da protagonista in I Dominatori dell’Universo) e invece fu un clamoroso flop, tanto che il previsto sequel fu cancellato e le scenografie furono impiegate per il set di Cyborg (1989) con Jean-Claude Van Damme.