Il volto angelico dell’omicidio Kercher.
Un film può essere interessante anche quando la somma dei suoi lati positivi non dà come risultato una sufficienza piena, soddisfacente. Parlando di Michael Winterbottom, possiamo dire che non si tratta di una novità.
Un autore inglese altalenante, senza un genere definito a fargli da patria, con un gusto per la giustizia e la sperimentazione, privo di uno stile entusiasmante, ma con un raro occhio per le storie, appunto, interessanti, da portare sul grande schermo.
L’ultima sua fatica è di particolare rilievo per tre nazioni: la Gran Bretagna, non solo per essere la nazione di provenienza del regista, gli USA e l’Italia, quest’ultima non nuova alla macchina da presa di Winterbottom, tra Genova e The Trip to Italy.
Vittima e carnefice a contratto
Il perché è presto detto, The Face of an Angel è un trattato filmico sull’omicidio di Meredith Kercher, la studentessa londinese assassinata nel 2007 a Perugia, con (ai tempi) presunti colpevoli Raffaele Sollecito e la statunitense Amanda Knox.
Quanto ha attratto Winterbottom è stato un dettaglio legato a indagini e processo, tanto evidente, ormai riconosciuto negli anni, da scolpire da cima a fondo The Face of an Angel: l’attenzione mediatica non fu per la vittima Meredith, bensì per la presunta assassina Amanda, assolta in Corte di Cassazione nel 2015. L’influenza degli USA certo ha contribuito, ma cè dell’altro e Winterbottom si è impegnato a dire la sua.
Cacciatori di macabro
Meta-cinema, Winterbottom è Thomas (Daniel Brühl), un regista privo di successi familiari e professionali, spedito a Siena dalla produzione per studiare la possibilità di girare un thriller sul caso dell’omicidio di Elizabeth (Meredith).
Lì incontra Simone Ford (Kate Beckinsale), autrice di un libro sulla vicenda, sua personale guida nel caso e nella comunità giornalistica internazionale con sede fissa a Siena, in costante attesa di novità su Jessica (Amanda).
Poco a poco la vita privata di Thomas, infestata dagli orrori di una separazione improvvisa, si fonde col disgusto crescente per la scandalosa ossessione dei media per ogni movimento di Jessica, tutto a discapito di Elizabeth.
L’angelo muto
Winterbottom si diverte con delle scene oniriche al limite dell’horror puro, piuttosto imbarazzanti in alcuni istanti, efficaci però nel dare allo spettatore uno sguardo interiore sulla visione del regista, deciso a chiarire la sua posizione.
Per farlo inserisce un nuovo personaggio nella vicenda, Melanie (Cara Delevingne), un’altra studentessa, anche lei londinese come la defunta Elizabeth, e trova un modo, privo di flashback, per dare una voce alla scomparsa.
La vittima non ha potuto scrivere memorie, apparire in talk show, dare una voce a se stessa, e così The Face of an Angel si propone di ridarle vita, per 100 minuti, col volto di Delevingne, sorprendente nella parte di una giovane spensierata.
Beati coloro che hanno voce
Ma The Face of an Angel non esaurisce qui le sue intenzioni e sul tardi si mostra le sue carte: un viaggio a Ravenna per visitare la tomba di Dante Alighieri, un bagno nelle acque emiliane, una partita a carte al crepuscolo.
Quanto prima appariva come un film contro i media e il loro forzoso servilismo nei confronti di un pubblico affamato di particolari macabri, si trasforma in un’inaspettata elegia della voce, alla possibilità e alla libertà di espressione.
La necessità di esserci e farci essere per rendere concreto l’astratto.
Astratta può essere la verità così come la menzogna, ma anche l’onore della famiglia di Elizabeth, la perfezione dei versi di Dante Alighieri nella Divina Commedia e ne La Vita Nova, il dolore per i propri cari e per l’assenza di giustizia.
Winterbottom coglie il mezzo perfetto per raccontare la parola come espressione della propria esistenza, purtroppo fallendo nella rappresentazione umana della sua controparte, interpretata con la consueta dedizione da Brühl, e dei giornalisti.
Fausto Vernazzani
Voto: 3.5/5