Fantastic Four (Josh Trank, 2015)

di Fausto Vernazzani.

La Fox lo conferma: l’universo degli X-Men si fonderà con Gambit e Deadpool. Nessuna menzione del suo più recente Fantastic Four. Ci vorrebbero pagine e pagine per discutere con la dovuta dovizia di particolari del flop di Josh Trank, un “enfant prodige” salito alla ribalta con il low budget Chronicle. Tornando indietro al passato, alla luce di quanto abbiamo visto nelle sale in questi giorni, i film di Tim Story non ci sembrano più così brutti.

La lotta contro la Disney e la Marvel Studios ha portato tanti colossi a cercare il proprio universo condiviso tra i diritti dei fumetti in proprio possesso. La Fox è la terza in ordine di “potere” su questo fronte (al secondo la Warner Bros con la DC Comics), proprietaria degli X-Men, sfruttati fino al midollo, Deadpool, Gambit e il quartetto dei Fantastici Quattro. Con questi ultimi hanno aperto la propria stagione fumettistica. Il risultato, un fallimento senza reali colpevoli.

Reed Richards (Miles Teller) sin da bambino, con l’aiuto dell’amico Ben Grimm (Jamie Bell), ha cercato di scoprire i segreti del teletrasporto, trovandosi involontariamente al top nella ricerca nel campo dell’apertura di varchi dimensionali. Scoperto dal Dr. Franklyn Storm, Reed è assunto per proseguire i propri studi alla sua Baxter Foundation, dove sarà aiutato dai due figli di lui, Sue (Kate Mara) e Johnny (Michael B. Jordan) e un altro piccolo genio, Victor von Doom (Toby Kebbell).

A seguire, il solito: un incidente/evento da cui i protagonisti ricavano i loro poteri, la comprensione delle proprie potenzialità, la scoperta di una minaccia e, infine, lo scontro finale. Josh Trank commette l’errore di ripetere la struttura di Chronicle, dove la caratterizzazione dei personaggi era secondaria rispetto all’esecuzione, l’esatto opposto di quanto Fantastic Four avrebbe richiesto. Così i personaggi, presentati con uno sguardo tridimensionale, diventano dei cartonati a due dimensioni.

La scala di grigi in un colpo solo polarizza il bene e il male su fronti opposti, dimentica le possibili motivazioni del cattivo di turno (gelosia, invidia, ecc.) e dei buoni, solo per sfociare in filippiche su temi sociali improvvisati. La crudeltà del governo, la sete di denaro dei potenti, la corruzione dei giovani da parte loro, un minestrone esposto senza spessore e alcun piglio artistico utile per perdonarne l’immensa superficialità. Infine, la battaglia finale, breve, troppo breve.

Allo spettatore neanche la soddisfazione di una conclusione classica, con la messa in mostra dei superpoteri contro l’invincibile villain, in pochi minuti e senza pathos tutto si risolve. Si percepisce la mancanza di alcuni passaggi, la fretta con cui Fantastic Four cerca di arrivare a somigliare ai suoi parenti stretti della Marvel/Disney e nella corsa perde per strada anche l’ultima ancora di salvezza: il carisma di tre attori emergenti come Teller, Mara e, soprattutto, il lanciatissimo Jordan.

Prima di dare la “colpa” dell’insuccesso completo a Trank bisogna però fare un paio di riflessioni. La prima è la più celebre, la discussione che ha infuocato il web lo scorso Agosto: immediatamente dopo le anteprime stampa che hanno visto Fantastic Four stroncato senza pietà, Trank si è sfogato su Twitter, accusando la produzione di aver modificato il “suo” film con un nuovo montaggio, dichiarando anche che la sua idea originale sarebbe certamente stata un successo. Se è vero, la responsabilità sarà sempre anche sua, ma per lo meno potrebbe spartirla con i suoi superiori e le loro pessime scelte. La seconda, più breve, è semplice: passare da un budget di 12 milioni a uno di 120 non sempre è un’impresa facile, perdere il controllo dei propri strumenti è un’eventualità da prendere in considerazione. A conti fatti poco importa, Fantastic Four è da scartare.

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