Il finlandese Jalmari Helander fece un gran servizio al mondo quando apparve sulla scena internazionale col bellissimo Rare Exports: A Christmas Tale, film natalizio per famiglie dal sottofondo horror col suo Babbo Natale demoniaco.
Oggi il quarantenne Helander piomba nelle sale italiane con la pellicola più costosa della storia del cinema finlandese, Big Game, una favola globalizzata a metà tra tradizione locale e sfrontato, usurato immaginario cinematografico USA.
Siamo nel bel mezzo della foresta finlandese e il piccolo Oskar, 13 anni – Onni Tommila, protagonista anche di Rare Exports – si prepara a esser messo alla prova nel cosiddetto Big Game, un classico rito di passaggio dall’infanzia alla maturità.
Una prova di forza che prevede una lotta per la supremazia dell’uomo sulla natura, passando due giorni da solo nel mezzo del bosco selvaggio e portare a casa un trofeo, orsi e cervi come i suoi gloriosi antenati, come suo padre prima di lui.
Tuttavia nessuno scommette su Oskar, pessimo cacciatore la cui preda si rivelerà essere peòr la più grossa di sempre, il presidente degli Stati Uniti d’America (Samuel L. Jackson) precipitato con l’Air Force One nei boschi della Finlandia.
I loro percorsi si incrociano, il presidente è braccato da un’organizzazione criminale con radici nel Pentagono guidata dalla sua ex-guardia del corpo di fiducia (Ray Stevenson), e il piccolo Oskar, coraggioso, ma non abile cacciatore come il resto della sua famiglia.
La direzione è scontata, Oskar farà di tutto per salvare il Presidente, trasformando il suo Big Game in un evento forse unico nella storia in cui la Finlandia di Jalmari Helander celebra e allo stesso tempo schernisce gli Stati Uniti, facendo muso duro e mettendo in esposizione i propri muscoli.
Il risultato è un film godibile, pensato per una distribuzione internazionale che Rare Exports ottenne solo a metà -, con scene dazione limitate, ma credibili ed emozionanti, perfetto per un pubblico in crescita, ancora alla ricerca del suo posto nel mondo. Non significa certo che i più grandi non possano apprezzare Big Game allo stesso modo, nonostante Jackson abbia la bocca pulita da ogni possibile motherfucker, perché si abbandona ogni prospettiva di colpo di scena, indicando di volta in volta con semplicità, e seguendo il consiglio hitchcockiano, dove si trova la prossima bomba.
A mancare rispetto al superiore Rare Exports è lattesa, la calma serafica con cui si osservava il grande schermo in attesa che qualcosa di grosso accadesse; Big Game non ha nulla di tutto ciò, è una montagna russa per minorenni con alcune salite emozionanti e altre un po meno. È la regia a far sì che scene meno entusiasmanti si trasformino in grandiose, in particolare grazie alla scelta di osservare il tutto col cuore e gli occhi del piccolo Oskar (Tommila è veramente bravo), mettendo in risalto i gesti eroici così come li vedrebbe un bambino.
Fausto Vernazzani
Voto: 3/5