Lost River (Ryan Gosling, 2014)

di Victor Musetti.

Dopo essere stato letteralmente massacrato a Cannes dai critici di tutto il mondo, Lost River, atteso esordio alla regia dell’attore Ryan Gosling, arriva in sala in una versione rimontata e accorciata di 10 minuti rispetto a quella presentata inizialmente, segno di una evidente presa di coscienza rispetto alle pesanti critiche riservategli e di alcuni necessari provvedimenti presi per assicurargli una distribuzione su larga scala.

Ambientato in una cittadina il cui nome dà il titolo al film, Lost River è la storia di Billy (Christina Hendricks), madre single di due figli, Bones e Frankie (Iain De Caestecker e Landyn Stewart), costretta a lavorare in un bizzarro nightclub (Eva Mendes è la principale performer) per non trovarsi costretta a dover mollare la casa in cui ha trascorso la sua infanzia e in cui ha cresciuto la sua famiglia.

Nel frattempo Bones, insieme alla sua vicina e amica Rat (Saoirse Ronan), scopre un passaggio per una città sommersa mentre Bully (Matt Smith), il teppistello che capeggia il suo quartiere, continua a dargli la caccia.

Fotografato dal mostro Benoit Debie (Enter the Void, Springbreakers), considerabile a tutti gli effetti come coautore del film vista la quasi assenza di una storia e di una vera regia che supportino le sue incredibili immagini, Lost River è un film d’autore a tutti gli effetti, un film che ha una sua estetica precisa e che vive per essa.

È un film che non scende mai a compromessi con la necessità di compiacere in qualche modo lo spettatore. Al contrario, è un’opera sensoriale e multiforme che, incapace di muoversi sui binari di uno storytelling di qualche tipo, si manifesta solo e solamente tramite una serie di visioni oniriche molto poco collegate tra loro.

Si attinge a piene mani dal cinema d’autore americano più in voga, da Terrence Malick ad Harmony Korine, passando inevitabilmente per David Lynch. Echi qua e là anche dal cinema europeo provengono soprattutto dalle musiche, che se da una parte riprendono direttamente le atmosfere dell’ultimo Nicolas Winding Refn, dall’altra omaggiano apertamente il cinema di Dario Argento, infondendo a tratti delle sfumature horror che poco hanno a che vedere con le vicende narrate.

Si ha un’ulteriore conferma dello spirito citazionista di Gosling con la presenza nel cast di Barbara Steele, storica attrice di Mario Bava, Lucio Fulci e Federico Fellini, qui nel ruolo di un’affascinante nonna ipnotizzata dalle immagini di una videocassetta che immortalano il ricordo della sua gioventù.

Insomma, Lost River è un gran mescolone di ispirazioni, visioni, suggestioni visive di ogni tipo. È un film narcisista come lo è il suo autore, innamorato delle proprie immagini e convinto di non doversi mai sporcare le mani più di tanto nel soffermarsi a raccontare un’emozione che sia una. Ci si annoia e non poco, questo perché i personaggi non hanno obiettivi, problematiche, aspirazioni.

Più che l’opera libera di un nuovo autore Lost River è la definitiva consacrazione del suo direttore della fotografia Benoit Debie, che ha il merito di aver dato con il suo incredibile lavoro più di un motivo vero per ricordarci di questo film. Per il resto si tratta di un’opera registicamente inconsistente che troverà sicuramente i suoi estimatori e che potrà essere rivalutata forse con una futura evoluzione di percorso del suo regista.

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