Il mondo dei robot: alle origini di Westworld
Prima di Jurassic Park venne Il mondo dei robot, e venne anche il Michael Crichton regista.
Già avviato come romanziere, l’autore statunitense si dedicò alla scrittura per il cinema – dalla sceneggiatura alla regia – sin dai primi anni Settanta. Westworld è la sua pellicola d’esordio.
C’è già molto, se non tutto: la simulazione del viaggio nel tempo come fonte di intrattenimento, la creazione di sub-mondi riletti a mo’ di parco giochi, l’errore scientifico (e il disastro che ne consegue) accompagnato dalla presunzione umana di poter esercitare il proprio controllo su qualsiasi cosa.
Uomini senza cuore
Non dinosauri ma androidi: nel parco divertimenti Delos – per l’appunto, il mondo dei robot – l’epoca classica, quella medievale e il Far West americano vengono riprodotti fedelmente con l’ausilio di macchine in tutto e per tutto simili agli umani.
Lo scopo è di garantire ai facoltosi turisti un’immersione totale e realistica nel mondo prescelto, i cui usi e costumi rivivono a partire dallo scenario fino ai suoi più infinitesimi particolari. Così si ama, si gioca e si ammazza senza che nessuno con un cuore realmente pulsante ne abbia a soffrire.
Il virus è dentro di noi
Fra i tanti avventori a noi è dato di seguire principalmente Peter (Richard Benjamin) e John (James Brolin, padre di Josh) attraverso la coltre di segatura del vecchio e finto West, con Yul Brynner nelle vesti scure di minaccioso antagonista.
Tutto fila liscio, con le robot-prostitute specialmente, e le risse da bar sembrano innocue e divertenti come balletti, ma l’irreparabile è letteralmente dietro l’angolo: l’imprevisto, il guasto impossibile a risolversi, un errore di sistema che viaggia da un androide all’altro senza soluzione di continuità.
Un vero e proprio virus che alberga nell’auto-coscienza delle macchine, malfunzionamento figlio di un’eccessiva aderenza del modello artificiale al suo corrispettivo naturale; quel “troppo umano” che elimina i confini tra i due mondi e fa calare sul creatore il boomerang dei suoi azzardi creativi.
“I’ll be back”
La regia di Crichton non vola, mantenendo uno stile canonico fatto di asciutte alternanze fra totali e primi piani, campi e controcampi, che lascia ampio spazio al perforante carisma di Brynner e alla discreta presenza degli altri interpreti.
Di sicuro – e per tal ragione il film non brilla nel cielo dei capolavori – il rapporto tra l’oggetto della narrazione e il suo modus si sfalsa a favore della prima delle due parti in gioco; la storia vince, detta legge e funge da ispirazione per tutte le ribellioni delle macchine raccontate dal cinema degli anni a venire.
Un paradosso poi vuole che proprio in corrispondenza del culmine del climax finale, durante il quale il pistolero androide di Brynner arresta la sua inesorabile camminata per assestare l’ultimo e letale colpo, il ritmo narrativo cali drasticamente. Quelle stesse indimenticabili immagini ritorneranno, simili e insieme uniche, nel Terminator di James Cameron. A riprova del fatto che le cose sono nuove se cambia il modo in cui le si dice.
Francesca Fichera
Voto: 3/5
Non conosco il film, ma il commento è OK. Complimenti.
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Grazie! Film da recuperare, appena si può. ;)
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