Il segreto di Napoli avvolto nel fuoco dei Quartieri Spagnoli.
La tradizione è importante. A volte è tutto. E a Napoli, tra stradine e macerie nascoste, lo è veramente. Lì si nascondono i mille segreti raccontati ne Il segreto dal collettivo cyop&kaf, da pochi giorni giunto ufficialmente nelle sale grazie al circuito distributivo Lab 80 Film.
Loro, gli artisti del collettivo, quei vicoli e i loro svincoli, gli angoli e le pietre – soprattutto quelle – li conoscono bene: ci disegnano sopra da tempo, ogni giorno, per dare vita e colore alla trascuratezza.
Da qui deriva e si sprigiona, come un odore forte, la familiarità che si respira fra le scene de Il segreto, l’incredibile vicinanza dell’occhio della telecamera ai volti e alle voci dei bambini dei Quartieri, più “grandi” di molti uomini.
Il mese è gennaio, i giorni sono quelli fra il 7 e il 17: i più grigi, quando “le feste vanno via” e la città si toglie di dosso i festoni e le lucine. Nel cuore del cuore, nel centro di un luogo che non ci è dato di conoscere ma solo di scoprire, esiste un recinto infestato da erbacce e rampicanti, con un buco in mezzo celato da una lastra metallica. Sarà quello il segreto?
Il documentario di cyop&kaf ci suggerisce che sì, potrebbe esserlo, ma anche che non sarebbe il solo.
Ed è proprio questo meccanismo narrativo, tensione memore delle attese dell’infanzia, che spinge lo spettatore a divorare con lo sguardo le riprese dall’alto, le angolature estreme e, soprattutto, l’estenuante ripetersi di gesti, suoni e viaggi in moto, tutti compiuti da quei ragazzini legati indissolubilmente alla ricerca degli alberi natalizi spogliati del Natale, da raccogliere nel recinto segreto.
Piccoli, a volte piccolissimi, ma già esperti falegnami, elettricisti, scalatori, un po’ manovali e un po’ artisti circensi, quasi distratti nel violare ponteggi come nel lanciarsi addosso seghe e pezzi di ferro in segno di scherno.
La regia, prevalentemente neutrale, ha il pregio di restituire un’immagine della realtà quanto più sovrapponibile alla sua fonte, oltre che di riuscire nella difficile impresa di non sguazzare in quella retorica di cui spesso il popolo napoletano è vittima, mettendo insieme un discorso egualmente interpretabile a più livelli; e, d’altra parte, eccessivamente diluito nei tempi, come se prima di rivelare il segreto ci si fosse un po’ persi nel girarvi attorno.
E tuttavia, dopo il cambio di tono che sottolinea il trionfo pagano conclusivo, unica incursione musicale ad opera di Enzo Avitabile che sembra accompagnare le immagini di un sabba in miniatura, le didascalie di coda lasciano spazio a un documento che offre un preciso e deciso modo di intendere la faccenda: una risposta.
Che dal fumo delle fiamme arriva al fumo dei crolli, alla nebbia del tempo che li ha sotterrati (assieme alle colpe e alle responsabilità di chi può, non fa e non ha mai fatto) e ritorna alle facce sporche di cenere e grasso di quei bimbi, alla loro voglia ferina di adattarsi. Lì sta il segreto vero.