La classica fiaba di Cenerentola rivive col britannico Kenneth Branagh.
Cenerentola, nonostante la levataccia, canta con gioia agli uccellini. Tira a lucido vetri e pavimenti e anche con il fazzoletto in testa conserva intatti grazia e fascino. Si libera della cenere, calza scarpette di cristallo e un bel principe cade ai suoi deliziosi piedini.
Alzi la mano chi da bambina non ha sognato ad occhi aperti ammirando Cenerentola danzare con un cuscino tra le braccia, intonando con voce celestiale I sogni son desideri.
Sono passati sessantacinque anni da quando il cartoon Disney rinverdì i fasti della fiaba di Charles Perrault. Poi arrivarono gli anni Ottanta e il successo a sorpresa di Cenerentola 80 con Bonnie Bianco e Pierre Cosso e, soprattutto, gli anni Novanta con la Pretty Woman Julia Roberts in riccioli ramati e cuissard, ed ecco media e sociologi scatenarsi sul ritorno del mito di Cenerentola: la bella di umili origini che si riscatta impalmando un buon partito.
Doveva arrivare un regista raffinato e rigoroso come Kenneth Branagh per ridare alla storia smalto e un pizzico di modernità, facendola tornare a risplendere, sotto la benedizione di casa Disney.
Il soggetto è noto: Ella è una giovane e bellissima donna vessata dalla terribile matrigna (sua grandezza Cate Blanchett) e dalle sorellastre Anastasia e Genoveffa. Relegata al ruolo di serva, saprà trasformare la sua gentilezza nel più efficace scudo contro ogni perfidia. Ovvio che sulla sua strada ricoperta di cenere incontrerà il vero amore. E con lui, complici gli incantesimi della fata madrina (Helena Bonham Carter) si riscatterà, facendo schiumare di invidia il resto del mondo.
Niente di nuovo sotto il sole, ma l’impronta del regista inglese si percepisce in piccoli e non trascurabili dettagli. A cominciare dalla sontuosità della messa in scena, elemento chiave della sua filmografia (chi scrive non potrà mai dimenticare la scenografica scala protagonista, al pari della Creatura, in Frankenstein di Mary Shelley), qui servita dagli specialisti Dante Ferretti (scenografie) e Sandy Powell (costumi).
In una cornice di sapore ottocentesco assistiamo all’emancipazione di una determinata giovane donna (l’eterea Lily James di Downton Abbey) pronta a lasciare il nido in compagnia del suo principe (Richard Madden direttamente dal Trono di Spade).
In una perfetta atmosfera da screewball comedy la scintilla tra i due scocca (sotto mentite spoglie) nel bosco anche se sarà al gran ballo, brillando di luce propria (e immancabili Swaroski), che Ella conquisterà il suo Kit.
Ed eccolo di nuovo quel tocco di modernità: il principe è molto distante dal suo alter ego del cartoon, non è solo belloccio e capace di cavalcare, ma intraprendente e ironico, pronto a sfidare le convenzioni.
È palese l’intesa sullo schermo dei due protagonisti – già precettati dal regista per una nuova versione di Romeo e Giulietta – ma a lasciare il segno è Cate Blanchett, molto distante dalle cattive un po’ caricaturali di Angelina Jolie (Maleficent) e Julia Roberts (Biancaneve). La sua Lady Tremaine è una figura femminile palpitante, divorata dallo spettro della solitudine e dall’invidia, con la quale può scattare senza troppi patemi l’immedesimazione.
Perché, ammettiamolo, (Cinder)Ella le ha proprio tutte: è bionda ma non svampita, capisce il linguaggio degli animali, pulisce e non si spezza mai un’unghia. E soprattutto sappiamo tutte come andrà a finire: in una nuvola turchese di organza di seta e in tacco 12 di cristallo, agguanterà un fusto e una corona.
Un pensiero su “Cenerentola (Kenneth Branagh, 2015)”