Storie pazzesche (Damián Szifrón, 2014)

di Victor Musetti.

Già considerato un oggetto anomalo nel momento in cui fu presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, l’argentino Storie Pazzesche (Relatos Salvajes il titolo originale) si prepara a concorrere all’Oscar per il Miglior Film Straniero, lasciandosi alle spalle i critici e i detrattori che lo avevano snobbato fino ad ora. Prodotto da Pedro Almodóvar con El Deseo, il film di Damián Szifròn è composto da sei episodi che cercano di tratteggiare in modo grottesco e sopra le righe diversi aspetti della società in cui viviamo, ponendo l’accento sulla sottomissione dell’uomo occidentale di fronte ai sistemi burocratici, gerarchici, economici e familiari.

Vista la struttura episodica sarebbe impossibile riassumere la trama senza correre il rischio di svelare qualche dettaglio di troppo. Ogni storia è separata dalle altre e vive in un mondo a sé stante. L’unico comun denominatore è quello della reazione alla violenza. In ognuna delle sei storie vi è sempre una sorta di violenza subdola, nascosta, che delinea la situazione di partenza. Basterà però il più semplice elemento di rottura affinché la reazione a questa condizione si riveli ancora più forte e devastante di quanto non lo fosse ciò che l’ha provocata.

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Una delle abilità del film è quella di saper raggirare la noia e la stanchezza che alla lunga il genere potrebbe generare, specialmente in mancanza di un filo conduttore che colleghi i diversi episodi. Infatti a mano a mano che ci si avvicina al finale (per niente scontato), i segmenti si fanno più lunghi e più seri, il ritmo diminuisce e ad una facile risata si preferisce una maggiore immersione ed empatia verso i personaggi. Succede nel segmento con l’attore più famoso di tutti, quel Ricardo Darín già visto ne Il segreto dei suoi occhi, in cui un ingegnere esperto di esplosioni e demolizioni porta la sua personale battaglia di civiltà contro le compagnie di rimorchi diventando una sorta di eroe nazionale. Questa alternanza tra il serio e il dissacratorio, tra satira sociale e commedia horror, fa sì che Storie Pazzesche muti continuamente il proprio aspetto e i propri contenuti, lasciando lo spettatore nella condizione di non sapere mai cosa aspettarsi veramente.

Szifròn contiene saggiamente l’eccesso dei suoi personaggi e lo spirito a volte completamente fuori di testa delle sue storie in una confezione misurata, sobria e mai ostentata. La sua tecnica narrativa e di messa in scena fa parte di una scuola che di anarchico ha ben poco, ma che, al contrario, trova la sua forza proprio nella profonda accessibilità del suo linguaggio. E infatti Storie Pazzesche non solo è un film per tutti, ma è soprattutto un film in cui si ride tanto, tantissimo, soprattutto nella prima parte. E per una volta si chiuderà un occhio se la profondità del suo messaggio non è al livello del più alto cinema d’autore contemporaneo. Anche perché Szifron non si prende mai veramente sul serio, non ci riesce, neanche quando pensa di farlo.

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