di Victor Musetti.
Già considerato un oggetto anomalo nel momento in cui fu presentato in concorso allultimo Festival di Cannes, largentino Storie Pazzesche (Relatos Salvajes il titolo originale) si prepara a concorrere allOscar per il Miglior Film Straniero, lasciandosi alle spalle i critici e i detrattori che lo avevano snobbato fino ad ora. Prodotto da Pedro Almodóvar con El Deseo, il film di Damián Szifròn è composto da sei episodi che cercano di tratteggiare in modo grottesco e sopra le righe diversi aspetti della società in cui viviamo, ponendo laccento sulla sottomissione delluomo occidentale di fronte ai sistemi burocratici, gerarchici, economici e familiari.
Vista la struttura episodica sarebbe impossibile riassumere la trama senza correre il rischio di svelare qualche dettaglio di troppo. Ogni storia è separata dalle altre e vive in un mondo a sé stante. Lunico comun denominatore è quello della reazione alla violenza. In ognuna delle sei storie vi è sempre una sorta di violenza subdola, nascosta, che delinea la situazione di partenza. Basterà però il più semplice elemento di rottura affinché la reazione a questa condizione si riveli ancora più forte e devastante di quanto non lo fosse ciò che lha provocata.
Una delle abilità del film è quella di saper raggirare la noia e la stanchezza che alla lunga il genere potrebbe generare, specialmente in mancanza di un filo conduttore che colleghi i diversi episodi. Infatti a mano a mano che ci si avvicina al finale (per niente scontato), i segmenti si fanno più lunghi e più seri, il ritmo diminuisce e ad una facile risata si preferisce una maggiore immersione ed empatia verso i personaggi. Succede nel segmento con lattore più famoso di tutti, quel Ricardo Darín già visto ne Il segreto dei suoi occhi, in cui un ingegnere esperto di esplosioni e demolizioni porta la sua personale battaglia di civiltà contro le compagnie di rimorchi diventando una sorta di eroe nazionale. Questa alternanza tra il serio e il dissacratorio, tra satira sociale e commedia horror, fa sì che Storie Pazzesche muti continuamente il proprio aspetto e i propri contenuti, lasciando lo spettatore nella condizione di non sapere mai cosa aspettarsi veramente.
Szifròn contiene saggiamente leccesso dei suoi personaggi e lo spirito a volte completamente fuori di testa delle sue storie in una confezione misurata, sobria e mai ostentata. La sua tecnica narrativa e di messa in scena fa parte di una scuola che di anarchico ha ben poco, ma che, al contrario, trova la sua forza proprio nella profonda accessibilità del suo linguaggio. E infatti Storie Pazzesche non solo è un film per tutti, ma è soprattutto un film in cui si ride tanto, tantissimo, soprattutto nella prima parte. E per una volta si chiuderà un occhio se la profondità del suo messaggio non è al livello del più alto cinema dautore contemporaneo. Anche perché Szifron non si prende mai veramente sul serio, non ci riesce, neanche quando pensa di farlo.