La magia della morte coglie Woody Allen in Magic in the Moonlight.
Mettiamola così: con Magic in the Moonlight si possono scegliere due diversi approcci per la visione. Il primo è il solito, è un film di Woody Allen, tutti lo veneriamo per la sua splendida carriera, quindi ne accetteremo i difetti pagando col sorriso il biglietto pur presumendo che il risultato non sarà neanche l’ombra di un suo classico.
Il secondo è forse il più interessante: inserire Magic in the Moonlight come parte di una ideale trilogia iniziata con Midnight in Paris, proseguita con Blue Jasmine e ora conclusasi con la coppia Emma Stone e Colin Firth.
Un Allen per sottrazione
Magic in the Moonlight ci accoglie con una esecuzione povera, più di quanto lo sia stata per un narratore a cui è sempre bastato il ritmo del dialogo, lo sguardo dei suoi attori e quella visione colta ma cinica nell’aria per girare un’opera eccellente.
In Magic in the Moonlight questa magia rallenta, davvero troppo, e un silenzio in sottofondo che potrebbe persino convincere uno spettatore che per sbaglio in sala stiano proiettando una versione incompleta del film.
Esistono personaggi secondari per cui è impossibile sviluppare alcuna affezione e/o interesse, alcuni a malapena riescono a emergere in superficie per respirare. Per nessuno di loro Allen scrive una scena degna di nota, la concentrazione è solo ed esclusivamente sulla Stone e un, come sempre, magnifico Firth.
Tra magia e scetticismo
Lui illusionista provetto e demistificatore di fama internazionale, cinico in un mondo governato dalla razionalità. Lei presunta medium telepatica e con il dono di comunicare coi morti. Scienza e religione, scienza e misticismo. Bergman, insomma.
Allen semplifica la distanza tra i due partendo con Firth dalla fredda Berlino per fare la sua magia e smascherare la bella di turno nell’assolata Riviera nel Sud della Francia. Poli opposti che si incontrano ed è presto detto: la ragione ha da esser virgolettata e non più la magia, entrata nei confini del mondo reale aprendo a Firth le porte della felicità.
La morte che avanza
In Midnight in Paris un sogno lontano nel tempo restituisce a Owen Wilson la voglia di vivere, un rifugio dalla verità; Blue Jasmine ha una Cate Blanchett in guerra aperta con la ruvida esistenza; ora sotto lo sguardo bianco di una Luna posticcia Colin Firth è intrattenuto in un colloquio con la Vita (oppure con Dio?).
Che Woody Allen sia terrorizzato dalla morte lo sanno pure le pietre, ma adesso ha raggiunto una certa età e deve fare i conti con la Nera Signora. Dunque cosa fare, aprire la porta al tristo mietitore o accettare di potersi far abbracciare dall’illusione di un altrove su questa o su un’altra terra?
Il regalo non riesce a farlo ai suoi personaggi. Blanchett è devastata in una immagine pesante come un macigno nel finale di Blue Jasmine, Wilson è sconvolto dallo scoprire che la sua stessa bellissima illusione necessitava di un falso per poter sopravvivere. Adesso a Firth è concesso poco di più e solo dopo aver chiuso gli occhi e aver parlato con un linguaggio non per i vivi. Ma in un mondo quadrato come quello di un cinico demistificatore lo si può accettare come un fatto reale?
Il sapore amaro della vita
È come se Allen avesse abbandonato schemi complicati e incantevoli per una metafora diretta, dando il compito a Firth di sedere faccia a faccia con la Fine, apprezzarne la bellezza alla luce soffusa del tramonto.
Con immagini sue Allen con Magic in the Moonligh ci dice che la vita è bella. Tuttavia non tanto da vivere quanto da osservare come un quadro che appartiene a qualcun’altro.
Luci, colori, racconto portano la firma di un terzo incomodo, noi tutti siamo invece trascinati verso l’oblio perché così recita ogni spiegazione razionale: si nasce, si cresce, si compiange e, infine, ancora con l’amaro in bocca, si muore.
Magic in the Moonlight in sé non è affatto un film meritevole di tanta attenzione, eppure riesce in qualche modo a mettere in evidenza quel tocco di magia tipico di Allen. Il regista respira ancora e continua ad accendere qualcosa nei suoi spettatori, anche quando sembra non esserci più alcuna luce in fondo al corridoio.
Fausto Vernazzani
Voto: 3/5