BFI58: Fuochi d'artificio in pieno giorno (Diao Yi'nan, 2014)

di Fausto Vernazzani.

Svegliarsi e vedere il cielo accoglierci ogni giorno allo stesso modo può essere frustrante se il Sole illumina una realtà da cui si vorrebbe e si dovrebbe fuggire. Una via di fuga per Diao Yi’nan, un modo per sublimare l’asfissiante quotidianità di una Cina in preda a se stessa, è sparare dei fuochi d’artificio in pieno giorno. Rompere la vita come la sopportiamo dal risveglio alla notte fonda, accenderla con una contraddizione.

Secondo Yi’nan i Fuochi d’artificio in pieno giorno (Black Coal, Thin Ice è il titolo internazionale) sono la catarsi necessaria per la Cina, quella delle zone più remote che gli hanno guadagnato un Orso d’Oro alla Berlinale e il successo al botteghino in patria. Ne avrebbe bisogno il Detective Zhang, un Liao Fan anch’egli vincitore a Berlino, appena divorziato, con tre colleghi morti durante un’indagine bizzarra e la morte della sua iniziativa.

Si sente inutile e dal 1999 al 2004 lo diventa: lascia la polizia dopo essere stato ferito, ripone in un cassetto l’investigazione sul corpo smembrato ritrovato in 12 raffinerie di carbone diverse sparse per la regione, cede all’alcol e a una vita dissoluta priva di senso. Il fuoco artificiale però esplode, Zhang è ritornato a seguire il caso dall’esterno ora che le vittime sono triplicate, segue la sospettata Wu Zhizhen/Lun Mei Gwei, si insinua nella sua vita e fa di tutto perché si ricrei quanto pare abbia portato alla morte tre uomini.

Una vedova nera particolare, una donna con una doppia vita come già furono i personaggi dei precedenti film di Diao Yi’nan, Uniform e Night Train. Come i predecessori siamo dentro e fuori il noir, se ne rispettano alcuni stilemi narrativi e si presenta il rifiuto di assecondare le regole di regia imposte dal genere: dove l’azione di svolge si preferisce un’inquadratura d’insieme, si introducono degli elementi da slapstick macabra, i primi piani sono ridotti all’essenziale in favore di ambienti vuoti, male illuminati, glaciali sia nel verso senso del termine che non: la Cina di Yi’nan è arida, una distesa di ghiaccio.

In questo anche Don Jinsong va citato, la fotografia è uno dei tratti più intriganti di Fuochi d’artificio in pieno giorno, di questo thriller atipico, con luci calde che cercano di entrare nel buio illuminato solo dal riflesso del freddo e viceversa. Yi’nan rinuncia al movimento per sfruttare la cura perfetta dell’illuminazione, dei suoi attori in azione di fronte a un asse fisso insistente, che sia un omicidio in corso (sorprendente manciata di minuti nel salone dell’ignaro barbiere dove il primo sangue viene versato) o una scena di ballo che da sola riesce a dare un senso a tutto il film, prima dei fuochi d’artificio, veri o falsi non importa.

La contraddizione tra la realtà e la fantasia, ormai sinonimi in un mondo così assurdo, pone Diao Yi’nan su un piano ben diverso in confronto a registi affermati e realistici come Jia Zhangke, armato di thriller crudi e tangibili. Yi’nan dalla sua riesce a rendere il suo film vissuto, la transizione temporale iniziale crea un moto affettivo verso il protagonista Zhang, lo si percepisce per gli anni passati, per il rimorso, il senso di colpa e un male di vivere che a ben guardarlo supera e abita anche al di fuori di una terra difficile come la Cina.

 

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