BFI58: Rosewater (Jon Stewart, 2014)

di Fausto Vernazzani.

Nel 2009 Mahmoud Ahmadinejad fu rieletto con grande sorpresa del popolo iraniano, convinto di aver assegnato la corona d’alloro al suo oppositore Mir-Hossein Mousavi. Ne scaturì una rivolta spontanea che purtroppo non cambiò il corso degli eventi, Ahmadinejad continuò a governare l’Iran e mentre iniziava il suo secondo mandato il giornalista di Newsweek Maziar Bahari fu imprigionato con l’accusa di essere una spia pagata dalle agenzie di intelligence nemiche. Per aver filmato le ritorsioni violente delle forze dell’ordine contro una folla a maggioranza pacifica.

Sono stati 118 giorni vissuti tra torture fisiche e psicologiche finite, in seguito alla liberazione, sulle pagine di Then They Came For Me. Dall’esperienza raccontata in prima persona si è passati al film, adattato da Jon Stewart, conduttore del The Daily Show, lo stesso programma che intervistò Bahari in Iran poco prima dell’incarcerazione fingendosi delle spie americane, con il titolo di Rosewater. La storia perfetta per un presentatore di un talk show satirico da sempre a favore degli attivisti, quale Bahari divenne nei confronti dei tanti giornalisti incarcerati senza alcuna accusa reale a loro carico. Rosewater, si capisce, è un film con non poche pretese: verità, fatti, l’essenza dell’informazione pulita in un solo film.

Rosewater

Tutt’altro che impossibile, ma può essere difficile sostenere il peso di una regia così importante. I raccordi sono lenti, la narrazione guadagna spiccioli con una voce narrante a rovinare immagini che da sole parlavano meglio di mille parole, finte immagini rubate dal look amatoriale, Rosewater ha più difetti di quanti se ne potrebbe permettere. Non aiuta nemmeno avere un Gael Garcìa Bernal in pessima forma, al punto da sfigurare di fronte al comprimario e torturatore Kim Bodnia, di gran lunga l’aspetto più interessante di tutto il film.

Sfugge il messaggio, scappa via l’idea di realizzare un film che ponesse il pubblico di fronte a una questione spinosa e quanto mai attuale, tutto ciò che resta è un forse involontario gesto volto a ridicolizzare chi era dal lato del torto. Stewart umanizza con ironia lo “specialista” Bodnia, strappa qualche facile risata facendo definire pornografia Teorema di Pasolini e raccontando di surreali massaggi sessuali sotto gli occhi di un inquisitore eccitato come un bambino di fronte alle fiabe di una saggia nonna.

Stewart faticando a prendere una linea comune per tutta la pellicola fallisce nel suo scopo, tra una regia da adolescente entusiasta e la voglia eccessiva di lasciare un segno riconoscibile del proprio Io (Stewart, il comico) si forma il classico film che “avrebbe potuto essere di più”. A volte non c’è niente di peggio che uscire dalla sala con una sensazione simile.

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