di Arturo Caciotti.
Deng vive a Pechino, è un’anziana vedova un po’ annoiata e piena (fin troppo) di attenzioni per i figli, ormai grandi e con la propria vita. A sconvolgere la situazione, una serie di inquietanti telefonate silenziose che cominciano a preoccupare Deng e la famiglia, e un mistero del passato che potrebbe tornare alla luce.
Nasce come un dramma, si sviluppa come un horror, continua come ancora nel dramma e si conclude nel giallo-noir: questo è Chuang ru zhe (Red Amnesia), film selezionato in Concorso a Venezia che, per varie ragioni oltre l’indubbia qualità, può realisticamente ambire al Leone d’Oro.
Il regista Wang Xiaoshuai è uno che sa, uno che conosce il mestiere ma anche l’arte delle immagini, che sa esporre con calma e attenzione il quotidiano ma che con un movimento di macchina può dare il doppio della potenza espressiva alla scena: difatti il film è stilisticamente inattaccabile, coerente con se stesso e diligente, senza esser scolastico, dal punto di vista tecnico. Red Amnesia è un film chirurgico, preciso, lucido e freddo al punto giusto, nel senso che con uno sguardo esterno culla però con amorevole cura la caratterizzazione dei suoi personaggi.
Come detto, si tratta di una pellicola dai ritmi pacati e lenti, ma anche molto fluida e mai davvero pesante nella narrazione, ma se il tutto è riuscito è merito anche dell’attrice principale Lü Zhong, una donna anziana e bravissima che merita più di chiunque altro la Coppa Volpi per l’interpretazione femminile. I suoi modi sono naturali ma anche caratterizzanti, non banali, ogni gesto, anche il più insignificante, è perfettamente credibile nell’economia del personaggio che arriva a noi pubblico.
Le dinamiche familiari e i dialoghi sono sempre puntuali e studiatissimi, e non furbescamente (e forzatamente) quotidiani, come in altri film che abbiamo visto alla Mostra, e l’elaborazione del lutto passato, assieme all’affiorare della soluzione del mistero, sono costruiti a meraviglia, con un crescendo mai lineare e facile, ma sempre con l’avvedutezza di alternare i toni, i luoghi e i personaggi all’interno di Red Amnesia.
C’è poi da prendere in esame il finale, che somiglia molto alla svolta conclusiva del piuttosto recente Pieta di Kim Ki-duk: c’è una scelta di scrittura da fare, o mantenere un tono onirico e vago, e tendere ad una conclusione simbolista, metaforica o surrealista, oppure tornare sui binari del concreto, del reale. Entrambi i film hanno scelto la seconda via, con un epilogo preciso e traumatico che vuole dare il colpo definitivo che riporta brutalmente lo spettatore al fatto che il film parla di una storia non propriamente vera, ma reale. Per quanto sia condivisibile o meno, Xiaoshuai prende la sua decisione e la porta avanti con discreta abilità (tranne forse un dialogo fin troppo esplicativo fra i due fratelli), il resto è gusto soggettivo. Non siamo nell’ambito del capolavoro, ma del film ben riuscito sicuramente sì.