Near Death Experience (Benoît Delépine, Gustave Kervern, 2014)

di Arturo Caciotti

Paul (Michel Houellebecq) è un impiegato, ha una famiglia e una vita tranquilla. Ma qualcosa di sé e del mondo sembra disturbarlo al punto da fuggire in bicicletta sui monti, per poi abbandonare questa e vagare per cime e altipiani solitari. Si vuole suicidare, ma ogni volta che è sul punto di farlo, non riesce a compiere il passo decisivo.

Uno dei film più originali dell’intera Mostra del Cinema di Venezia, sia per la grammatica registica che per il modo di affrontare la realtà, è senz’altro Near Death Experience, opera francese di Benoît DelépineGustave Kervern che vanta la presenza di un meraviglioso Houellebecq nel ruolo di protagonista. Per chi non lo conoscesse, è un intellettuale transalpino considerato da molti come un visionario nel campo letterario e artistico, e la sua interpretazione di Paul è qualcosa di fantastico, una delle migliori viste al Lido.

Parliamo di un uomo che vive un malessere imprecisato ma viscerale, che, dalle frasi che pronuncia per spiegarlo, ricorda molto la Vitti che afferma: “mi fanno male i capelli”. L’idea è un po’ questa, di una condizione di sostanziale incapacità di adattarsi alla vita, di accettare la mediocrità e il rapido passare del tempo.

Near Death Experience

Con un fisico asciutto, un completo rosso da ciclista, un volto rugoso e incavato, e un modo di fumare nervoso e insaziabile, Paul è un personaggio che conquista da subito, tanto “uomo medio” quanto piccolo romantico addolorato. Egli cerca rifugio nella natura, ma in fondo anche questa sembra ignorarlo, e Paul sarà portato a vagare senza meta alla ricerca di un qualche segno, sia negativo che positivo, per avere l’impulso decisivo nella decisione del da farsi. In mezzo al silenzioso verde, questi si ricrea un modello quasi platonico della propria vita quotidiana, costruendo “moglie” e “figli” coi sassi e riferendo ai tre taciturni simulacri ciò che in vita non era riuscito a dir loro.

Near Death Experience riflette molto su stesso, si morde la coda e si incastra, in un voluto desiderio di ironica autoreferenzialità (Paul dirà “sono completamente vago, tragicamente vago”: è come se ironizzasse sul film stesso), con un registro in bilico tra il realismo estremo (ci sono diverse inquadrature fisse che riprendono lunghi movimenti del protagonista, immerse nel silenzio) e strani momenti onirici che alternano camera con risoluzione sgranata a piani più ravvicinati in HD. Quello che probabilmente i due registi vogliono esprimere è un divertente ridimensionamento della potenza della natura, in senso opposto alla poetica di Malick, che appare piuttosto come un ente a sé stante, che ignora le sorti dell’uomo e non prevede nessun grande ordine: i paesaggi sono sgranati, il volto umano è in buona risoluzione.

Ciò che Near Death Experience ci vuole raccontare, con un finale poi molto enigmatico, è quanto sia in fondo insensata l’ossessione per l’uomo di affidare un senso precostituito alla propria esistenza, e che l’emozione più semplice è quella più vera: può sembrare banale o ruffiano, ma vi assicuriamo che l’originale e rozzo linguaggio espressivo, il ritmo lentissimo e il registro diabolicamente ironico, rendono Near Death Experience una pellicola affascinante e, se si è spettatori con un minimo di pazienza, anche divertente.