La settimana del luogo comune: I 10 luoghi comuni sul cinema

Ogni scusa è buona per riflettere sul mondo del cinema e oggi prendiamo l’’assist lanciato dall’’evento Settimana mondiale del luogo comune su Facebook – creato da JediGian Gianni Spoldi, Aldo Dell’’Accio e Barbara Suber (fonte giornalettismo.it) –conclusosi il 22 Giugno per rimuginare sui dieci luoghi comuni più assillanti della storia del cinema.

Perché tutto il mondo ne è purtroppo pieno e il cinema non è affatto esente da questa brutta piaga, in particolare nei giorni nostri dove il web fomenta conversazioni e discussioni dove a vincere è fin troppo spesso il de gustibus e non l’’argomentazione.

Troppi effetti speciali
Fausto

Uno dei miei preferiti. In genere lo si attribuisce alle persone più anziane abituate da un certo modo di fare cinema, ma la verità è che sono i più giovani a caderci. Gli effetti speciali ci sono sempre stati dall’inizio della storia del medium, si sono evoluti grazie alla computer grafica, che Guillermo del Toro giustamente definisce animazione dandoci adito di paragonare un bel po’ di cinema a opere come Chi ha incastrato Roger Rabbit. Ma davvero ci sono troppi effetti speciali? Senza saperli neanche distinguere dagli effetti visivi sembra piuttosto assurdo accusare loro della bruttezza di tante produzioni contemporanee. 

È un bel film però è lento
Fran

Avete presente il concetto di ossimoro? Quando di qualcosa si dice “è bello”, “è buono”, “fa bene”, un ma o un però subito dopo non sono di certo la migliore delle garanzie a ciò che avete detto subito prima! Se un film vi è risultato lento è perché, in qualche modo, non vi ha agganciati: non ha fatto sì che scordaste tutto o quasi tutto quel che vi circondava affinché lo guardaste con attenzione. In poche parole: non vi ha presi. Vi ha anche annoiati, forse. Bene, fatevene una ragione: ogni tanto ammettere una cosa per quella che è, sia a voi stessi che a chi vi sta ascoltando, potrebbe rivelarsi un toccasana per la salute.

Il cinema orientale è noioso
Fausto

Il regista Matteo Oleotto nel trailer del Far East Film Festival 2014 prende in giro tutti i luoghi comuni sulle produzioni dell’estremo Oriente. Il più comune riguarda una supposta lentezza dovuta, secondo tanti, a differenze culturali radicate nella storia delle nazioni asiatiche. Tuttavia se davvero l’Asia produce prodotti così noiosi, come mai il moderno cinema d’azione è nato grazie al successo di John Woo, Seijun Suzuki o Akira Kurosawa? L’industry di Hollywood non avrebbe mai guardato a est se questi film facessero scendere il latte alle ginocchia. Acquistate il DVD di un film di Dante Lam o Na Hong-jin e poi venite a dirci se vi hanno annoiato.

I cartoni animati sono per bambini
Fausto

Si potrebbe discuterne per ore. Un film d’animazione non è per bambini perché prima di tutto non è un genere, ma solo una tecnica di produzione. Eppure la storia e Walt Disney hanno voluto sfruttare questo mezzo per comunicare ai più piccoli con il vantaggio dei mille colori e della fantasia che può sbizzarrirsi. Non tutti hanno guardato al mondo animato così e c’è chi ha scelto altre destinazioni per la loro immaginazione. Basta vedere La città delle bestie incantatrici, con la protagonista stuprata da enormi tentacoloni e poi… mi censuro che è meglio. Senza essere così estremi si potrebbe portare anche l’esempio del recente Il congresso o classici come La fattoria degli animali.

I doppiatori italiani sono i migliori del mondo
Fausto

Siamo italiani, al posto di Mufasa tra le stelle abbiamo Ferruccio Amendola e Oreste Lionello che ci parlano dall’alto, mentre al basso ci legano le voci di Luca Ward e Roberto Pedicini.  Un luogo comune di casa nostra, un via di fuga dall’ammissione di voler vedere i film doppiati. Non ci sarebbe nulla di male, ma guai a dire che la lingua originale è quella giusta (non la migliore). La prossima volta che qualcuno vi elencherà le glorie della sala di doppiaggio ed elogerà la somma arte in cui saremmo gli eletti tra tutte le genti, provate a chiedergli cosa ne pensano dei doppiatori indiani o francesi. Per fare un confronto e uscirne con una dichiarazione simile è logico che avranno fatto uno studio sugli esponenti di questo mestiere di ogni nazione del globo.

Il 3D non ha futuro
Fran

In questo caso basterebbe guardare a quando questo è stato detto per la prima volta, per la seconda o anche per la terza: tanti, ma tanti anni fa. E anche se è stato ripetuto relativamente di recente, il risultato non cambia: al cinema ci andiamo ancora, e non di rado, con gli occhialini. Sulla qualità “immersiva” dell’esperienza cinematografica sono stati scritti interi volumi, e non da gente a caso (uno fra tutti: Edgar Morin). Alcuni film, quando il 3D non era ancora tornato in auge e perfezionato dalle nuove tecnologie, rimpiangevano il fatto di non poter essere tridimensionali a tutti gli effetti (un caso lampante: La bella e la bestia della Disney, uscito in versione 3D a più di dieci anni dall’esordio cinematografico, e che gli autori Gary Trousdale e Kirk Wise avevano progettato con il desiderio di vedere la famosa scena del ballo realizzata a più dimensioni). Perché il 3D fa parte del cinema, del suo linguaggio. Insistere su polemiche di questo tipo fa assomigliare tanto a quei lettori che, invece di preoccuparsi di leggere e basta, stanno ancora sindacare sull’aridità dell’e-book e l’odore delle pagine di carta. Se poi il problema è il mal di testa (per via degli occhialini), allora alziamo le mani.

Memento è tutta una questione di montaggio
Fausto

Secondo molti una mattina Christopher Nolan (non la montatrice Dody Dorn attenzione), terminate le riprese di Memento, si è alzato e ha deciso di mischiare tutti i negativi del film. O magari gli sono caduti a terra e non è riuscito a metterli in ordine. Così al computer ha mischiato e l’ha montato senza tener conto della cronologia ed ecco il genio. Perché mai questa linea narrativa così “confusa” (ha perfettamente senso poi a conti fatti) avrebbe dovuto essere stata alla base del soggetto di Jonathan Nolan e poi scritta in sceneggiatura dal fratello Christopher? Queste sono idee folli, è stato sicuramente il montaggio, sì sì.

È sempre meglio il libro del film
Fran

Paragonare due linguaggi differenti è sempre un po’ come dire “quella ballerina è più brava di quel calciatore”. Qualsiasi opera o qualsiasi testo conservano sempre la propria autonomia formale – il che, del resto, non li esenta da contaminazioni di genere: pretendere che il cinema unifichi l’immaginazione di centinaia, a volte milioni di lettori, in una riproduzione universalmente valida, è chiedere di mettere il cielo in una scatola. È un primo passo sbagliatissimo, perché da questo può dipendere – e di fatto, così funziona – la nascita di un percorso irto di pregiudizi. Del resto, in ogni operazione di traduzione che si rispetti, l’adattamento letterale conduce il più delle volte a risultati ridicoli, se non obbrobriosi. Il filtro interpretativo è irrinunciabile, e lì non è l’unanimità a garantirlo: conta la competenza di chi effettua il passaggio da un linguaggio all’altro. Conta aver studiato, non immaginato.

Se al critico non piace vuol dire che è bello
Fausto

Tendenza molto recente è quella di aggredire il critico. Maledetti che non sono mai d’accordo col pubblico. Certo, perché François Truffaut non fu colui che sostenne Alfred Hitchcock, Sergio Leone non è diventato uno dei grandissimi grazie a dei critici che apprezzarono Per un pugno di dollari. Nella storia ci sono tanti di questi episodi, come anche l’esatto opposto o tanti e tanti attacchi a chi avrebbe meritato più attenzione e così è stato solo successivamente, ma fare di tutta l’erba un fascio è un errore, odiare la categoria altrettanto.

Il cinema è morto

Se è morto da qualche parte ci sarà un cadavere, seppellito nello scantinato o murato dentro la camera da letto. In molti sostengono questa teoria secondo cui la settima arte ormai sia finita, peccato che spesso e volentieri manchino le prove del misfatto. Questo ci porta a pensare alla gente che considera non-morti registi come Paul Thomas Anderson, Michael Haneke o Jafar Panahi. Loro rimangono geni assoluti dell’immaginario audiovisivo, anche se al suo interno spadroneggiano serie televisive a dir poco mitologiche come Breaking BadTrue Detective – che comunque al cinema devono tantissimo. E si ritorna al discorso libro-film / cartaceo-ebook: non tutti i linguaggi sono destinati combattersi o a scomparire per il sopravvento del proprio ‘antagonista’. Esiste un’ipotesi poco contemplata: la convivenza delle cose.

Francesca Fichera e Fausto Vernazzani
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