La casa del diavolo: sympathy for the devil’s rejects.
Sin dalle prime immagini de La casa del diavolo si nota che, alla sua seconda prova, Rob Zombie è maturato notevolmente. Non cambia l’approccio, sempre frenetico, citazionistico allennesima potenza e pieno di sangue, ma si nota un’anima diversa e non si tratta della continua voglia di far vedere quanto è bella sua moglie Sheri Moon, ma dal fatto che, anche grazie alla sua imposizione alla Lions Gate di avere il vm18, il nostro mostra delle doti autoriali che nessuno si sarebbe mai aspettato dopo il divertente e nulla più La casa dei mille corpi.
Ne La casa del diavolo continuano le avventure della famiglia Firefly, ma questa volta da carnefici diventeranno vittime e Zombie, attraverso la malvagità di chi dovrebbe essere buono, ci mostra l’odio che l’essere umano nutre per i suoi simili e fin dove si può spingere la voglia di vendicarsi. Di contro anche chi è cattivo può avere dei sentimenti e la famiglia più brutale e politicamente scorretta degli ultimi anni riesce a creare empatia con il pubblico.
Qualche lacrima scende nel magnifico finale, culmine registico di una prova straordinaria, tale anche grazie alle interpretazioni sontuose di Sid Haig (Capitan Spaulding) Bill Moseley (Otis) e Sheri Moon Zombie (Baby) che non cambiano il loro modus operandi nonostante siano perennemente in viaggio a causa della polizia che ha scoperto la casa dove, nel precedente capitolo, svolgevano le loro malefatte. Lo sceriffo Wydell (William Forsythe) fratello del poliziotto ucciso nel primo capitolo, vuole sterminarli tutti e attuare così la propria personale vendetta.
Questa volta la colonna sonora non è stata composta dal musicista, ma consta di una varietà di generi e autori che più si addicono all’avventura on the road della famiglia, quindi il country prevale, le citazioni a Johnny Cash sono inevitabili e non manca la solita dose di rock anni ’70. Addirittura lo sceriffo Wydell (William Forsythe) minaccia di morte un critico cinematografico perché osa insultare la memoria di Elvis Presley a vantaggio di Groucho Marx.
Come si potrà notare, ne La casa del diavolo, oltre alle solite citazioni al grande cinema classico – si tira in ballo addirittura un’intera scena di Shining, c‘è un omaggio al grande Bela Lugosi e l’atmosfera generale si ispira ai film di Sam Peckinpah – vi sono altrettanti tributi musicali, cosa che nel precedente non avveniva.
Nell’articolo su La casa dei mille corpi ho scritto che la critica si è divisa nei giudizi sull’entrata nel mondo del cinema di Rob Zombie. Con La casa del diavolo il musicista americano dimostra di essere un autore di tutto rispetto, consapevole di fare cinema di intrattenimento ma che con dei tocchi di alta classe. Zombie raggiunge lo status di regista da seguire costantemente.
See You Soon!