Snowpiercer - CineFatti

Snowpiercer (Bong Joon-ho, 2013)

La grigia distopia glaciale di Bong Joon-ho.

Ai telegiornali sono chiari: è inutile credere i cambiamenti climatici svaniranno da soli. Così si apre Snowpiercer, l’’ultimo film di Bong Joon-ho, un ritorno alla fantascienza dopo il successo internazionale col magnifico The Host.

L’’era glaciale irrompe senza preavviso, l’’umanità e qualunque altra forma di vita vengono spazzate via dalla faccia della Terra, se non fosse per poche centinaia d’i uomini e donne, sopravvissuti grazie al sogno e alla megalomania di Wilford: un treno autosufficiente che facesse costantemente il giro del mondo.

Diciassette anni dopo la quasi totale estinzione del genere umano, Bong Joon-ho ci accoglie nella coda del treno, dove vivono ammassati gran parte dei passeggeri, costretti a stare lontani dall’’elite di Wilford, abitanti della testa.

Unico nutrimento dei blocchi di proteine neri e gelatinosi, nessun lavoro da svolgere, nessuna occupazione che li tenga impegnati se non sopravvivere e pianificare una nuova rivoluzione per conquistare lo Snowpiercer. Alla testa dei ribelli della coda vi è Curtis/Chris Evans e il suo secondo in comando Edgar/Jamie Bell, entrambi pupilli di Gillian/John Hurt, il saggio anziano della Coda.

L’’opulenza della Testa la possiamo solo immaginare, la claustrofobia no. Il nuovo ordine presentatoci da Bong Joon-ho è possibile grazie ad un corretto equilibrio tra caos e pulizia, la violenza dell’’uomo, la sua fame di nutrirsi di se stesso pur di riuscire a vivere, sono tutti elementi parte del disegno di Wilford.

Il necessario per dare un futuro alla propria razza. Tra le tante opere cinematografiche dei giorni nostri, Snowpiercer si afferma come una delle più cruente rappresentazioni distopiche offerteci. Il sangue scorre a fiotti, personaggi importanti vengono meno uno dopo l’’altro, aggiungendosi a un mucchio di cadaveri che può significare una cosa soltanto, l’’ormai avvenuta perdita dell’’umanità.

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Arrivare fino in fondo alla Testa per lo spettatore assume invece un ruolo differente, permette di capire come mai i Weinstein avessero insistito tanto per tagliare il film una volta distribuito in Occidente, una battaglia da loro persa, ma che chiaramente nulla aveva a che fare con una questione di lunghezza.

Gli oltre 120 minuti di film sono necessari, uno per uno, al dispiegamento della trama e della storia dello Snowpiercer, dandoci così la gioia di evitare un fastidioso spiegone in scena d’’apertura, raramente efficace, spezzettandolo tra un vagone e l’’altro, tra lunghe serie di inquadrature perfette. Il direttore della fotografia Bong Joon-ho se lo è portato dalla sua ultima produzione, Madre, Hong Kyung-pyo, un maestro della composizione.

Ma ovviamente il meglio è tutto nella scenografia, nei cui spazi stretti la regia si muove con un’’agilità quasi innaturale, favorendo quadri simmetrici e scarsi movimenti di macchina, la cui assenza favorisce una serie infinita di immagini a dir poco favolose, dove la posizione dei personaggi indica il senso e il flusso della narrazione.

Poco importa se alcuni colpi di scena fossero telefonati, molti dei più importanti arrivano e lasciano così sorpresi da far dimenticare quei classici errori di sceneggiatura derivati dall’’adattamento (film tratto dalla graphic novel francese di Lob, Legrand e Rochette), a opera del regista e di Kelly Masterson che rendono lo scorrimento un po’ frettoloso.

Un discorso diverso riguarda l’intero cast, variegato nelle fattezze e nel linguaggio. Coraggio ci voleva per calarsi nei panni del controverso Curtis, ma Chris Evans riesce a rimanere saldo in ogni sequenza, anche le più scabrose, così come Jamie Bell, Octavia Spencer, Ed Harris, Tilda Swinton e Ewen Bremner.

Ma il vero applauso va al duo coreano ritrovatosi dopo il kolossal The Host, composto dal sempre straordinario Song Kang-ho e la giovane Go Ah-sung, che col passare del tempo e lo scorrere del treno sulle rotaie, assume sempre più il ruolo di protagonista ideale di Snowpiercer. Non sarà un capolavoro nel vero senso della parola, ma poco ci manca.

Fausto Vernazzani

Voto: 4/5

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