Kevin Smith: dalla commedia politicamente scorretta all’horror Red State.
Dopo una vita a realizzare commedie dirigendo perle come Clerks, Generazione X o Dogma, Kevin Smith prova a cambiare completamente registro con Red State, che lui stesso ha dichiarato essere il suo penultimo film prima di dedicarsi ad alcuni progetti televisivi.
Dopo un periodo di completo appannamento cominciato con Jersey Girl e proseguito fino all’orrendo Cop Out, Kevin Smith prova quindi a buttarsi nel mondo horror, senza però perdere l’ironia e la cattiveria che l’hanno reso celebre.
Sesso, fanatismo e morte
Red State comincia con un gruppo di ragazzi, Jared (Kyle Gallner) Travis (Michael Angarano) e Billy-Ray (Nicholas Braun) che rispondono a un annuncio sessuale su Internet e si recano nel luogo dove dovrebbe avvenire l’incontro. Giunti a destinazione, però, vengono drogati dalla donna dellannuncio.
Si risvegliano in una chiesa dove alcuni fanatici religiosi stanno ascoltando le parole di padre Albin Cooper (Michael Parks), che invita i suoi adepti a liberarsi dei ragazzi in quanto impuri. La situazione degenera fino a quando entra in scena il poliziotto Joseph Keenan (John Goodman), da tempo sulle tracce della setta e delle prove per poterli incastrare.
Kevin Smith, grande regista a sorpresa
Smith è stato sempre accusato del fatto che, a fronte di sceneggiature quasi perfette, non avesse invece particolari assi nella manica dal punto di vista registico. Proprio per questo, alla notizia della sua incursione nell’horror, crebbe lo scetticismo. Il risultato registico di Red State, invece, è sorprendente: Smith riesce a rappresentare ottimamente tutta la varietà di situazioni, soprattutto nelle scene di inseguimento o delle sparatorie.
Il difetto principale di Red State sta nel cambio improvviso di registro: Smith mantiene la tensione altissima durante la prima ora, grazie alla ben resa accusa nei confronti del fanatismo religioso – oltre a un Michael Parks in stato di grazia – che mette in scena un torture porn da manuale; ma, nei successivi quaranta minuti, decide di virare al poliziesco d’azione, con l’entrata in scena di Goodman che fa scemare tutta la tensione fino a un ultimo tentativo, messo in conclusione.
Presentato al Sundance, Red State fu inondato di critiche e recensioni negative: trattamento immeritato perché, nonostante nella seconda metà Smith sbagli approccio, il film resta comunque apprezzabile. Anche perché dopo Cop Out era difficile fare peggio. A dirla tutta, in realtà, Smith si supera, che i trascorsi nella commedia aiutano nella costruzione di dialoghi veramente efficaci, alcuni divertenti, altri cinici, di cattivo gusto e poco inclini al ‘politically correct’.
La parentela con la filmografia recedente
Del resto Smith lo conosciamo, quando mai non ha fatto film scombinati? Con Red State non ha fatto altro che confermare questo suo stile, anche se, per un horror, risulta un po’ azzardato. Il divertimento, comunque, è assicurato: fra le altre cose, i fan di Breaking Bad ritroveranno Anna Gunn/Skyler nei panni della mamma di Travis. Ma soprattutto è godibilissima la serie di uccisioni che ha inizio con l’ingresso di John Goodman. E vogliamo parlare del prefinale? Una genialata assoluta, probabilmente in molti avrebbero preferito che fosse il finale vero.
Insomma, si può dire che Red State, con le sue indiscutibili imperfezioni, sia un film da aggiungere a quelli dei tempi migliori di Smith: un buon segno di ripresa che aspetta conferma e magari un superamento nell’ultimo film prima del ritiro dalla regia cinematografica.
Roberto Manuel Palo