Il cinema italiano torna semplice con Spaghetti Story.
C’è da una parte l’Italia lì a specchiarsi nell’acqua facendo di tutto per mettere in evidenza brufoli, rughe e imperfezioni varie. Spostandosi negli angoli bui c’è l’Italia che racconta storie di vita quotidiana, magari un po’ bizzarre ma credibili. Ebbene, nessuno di questi due casi corrisponde a Spaghetti Story, debutto al lungometraggio del regista romano Ciro De Caro, autore di spot e brevi cortometraggi che non lasciavano presagire un’opera completa ma in cui già risiedevano gli embrioni di quelle poche giornate delle avventure di Valerio.
Lui (Valerio Di Bendetto) sogna di fare l’attore evitando la televisione e prendendo in pieno il grande schermo, ma vive come chiuso in un tunnel dove corre verso una flebile luce abbandonando progressivamente le sue responsabilità. Una sorella che soffre di solitudine, una fidanzata col sogno di una famiglia e Scheggia (Christian Di Sante) l’amico che tutti dovrebbero avere, un diavoletto con delle piccole corna e la saggezza popolare di una gioventù cresciuta col mito italiano della furbizia e della legge della giungla. Tra quattro mura, quattro ruote e poche strade di Roma prende luogo la presa di coscienza di Valerio in Spaghetti Story.
Fu Claudia Cardinale pochi anni fa a dire che il cinema italiano di oggi è troppo preso dalla tecnica e da fronzoli inutili a discapito dei contenuti, materiale fondamentale per gli autori che hanno reso famosa la settima arte figlia del nostro paese: ecco, l’attrice potrebbe essere fiera del risultato di Ciro De Caro. Con pochi soldi in cassa De Caro non cerca di conquistare lo spettatore con l’arte, una grande fotografia e composizioni eccezionali impossibili da dimenticare: Spaghetti Story è un tutt’uno di sceneggiatura e regia, è una storiella raccontata con un mezzo utilizzato con saggezza e parsimonia. Insomma, un prodotto raro da queste parti.
Pur non trattandosi di un capolavoro né di un film indimenticabile, Spaghetti Story è una piccola promessa uscita in meno cinema quante sono le dita di una singola mano, con un cast di attori capace di convincere lo spettatore senza suonare troppo artificioso anche in quei momenti in cui è tangibile il carattere del film, una produzione tra amici di lunga data riuscita contro ogni aspettativa a vedersi nel buio della sala.
Se il protagonista Valerio Di Benedetto potrebbe aver bisogno di ancora qualche esperienza prima di potersi dire un bravo attore – ma comunque meglio di tanti altri che già si fregiano del titolo e di assegni cospicui – Cristian Di Sante (Scheggia) col suo fare da romanaccio è il più convincente di tutti, la porticina che apre il mondo di De Caro al pubblico portandolo ad altezza d’uomo.