Nell’attesa che morbida cada la prima neve.
A Pergine, paesino di selvaggia bellezza tra le montagne trentine, ogni anno, puntuale e incantevole arriva la neve. Michele la conosce fin troppo bene; ha dieci anni ed è stata proprio lei, la neve, a portargli via il padre durante una delle sue tante escursioni. Dani, giovane originario del Togo fuggito dalla Guerra in Libia, invece la neve non l’ha mai vista. Vive in un centro di accoglienza e trova una piccola occupazione presso un vecchio falegname e apicoltore, Pietro, nonno di Michele che abita insieme al nipote e alla nuora in un piccolo maso nella Val dei Mocheni ed esercita il mestiere con grazia e lentezza antica. Quelle valli per Dani sono però solo luogo di passaggio; spera di raggiungere la Francia, Parigi, anche se questo significa doversi separare per sempre dalla sua piccola figlia, da cui lo separa il dolore atavico suscitato dai suoi innocenti tratti troppo somiglianti a Layla, la madre, morta tragicamente dopo averla data alla luce in uno dei tanti viaggi della speranza che approdano sulle coste meridionali dell’Italia.
La prima neve parla di un incontro, quello di Dani con il piccolo Michele, l’unica persona che riesca con la naturale irrequietezza e freschezza di un ragazzino a destare il suo interesse e a scalfire quel muro tra sé e l’assurdità della sua nuova condizione identitaria di rifugiato politico, accolto formalmente e però ostaggio della macchina burocratica che dirige le politiche migratorie della comunità europea, già oggetto di denuncia del regista e documentarista Andrea Segre, che riesce a creare anche un altro tipo di incontro – quello tra uomo e natura – e a dare vita se non a una perfetta simbiosi quantomeno a un appassionato dialogo tra i due personaggi e i due elementi, esplorando con infinita delicatezza e sensibilità la Val dei Mocheni, altrettanto incantevole. È in questa cornice assorta e lontana dalle metropoli dove siamo abituati a raccogliere testimonianze di accoglienza che Dani e Michele cercano eco del loro comune sbandamento, alla ricerca di una corrispondenza impossibile e per questo eccezionale. Così il dolore indicibile del lutto che tanto divide e lacera i reciproci rapporti familiari similmente accorda due mondi lontanissimi.
Questo film che riporta alla memoria le valli occitane di Il vento fa il suo giro e gioca con tematiche approssimabili è impreziosito da personaggi di supporto che denotano una propria poetica e un approccio complementare al territorio e alla vicenda, accomunati da un calore umano languido e sanguigno, come lo zio Fabio, interpretato dall’eccezionale Giuseppe Battiston, nell’attesa che morbida cada la prima neve e che la sua bianchezza catartica e del tutto nuova per Dani rimargini ferite aride, la neve salvifica che è l’elemento finale e risolutivo di un film che concede poco alle intellettualizzazioni e tanto al cuore.
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