Barton Fink - CineFatti

Barton Fink (Joel e Ethan Coen, 1991)

Le visioni di Barton Fink, un capolavoro dei fratelli Joel e Ethan Coen.

Tra le diverse tematiche avvicinate dal celebre e straordinario tatto dei fratelli Cohen, Barton Fink sceglie di affrontare il rapporto tra vita, arte e la solitudine dell’esperienza estetica, tema eterno della letteratura come del cinema con cui la più straordinaria coppia di autori del cinema contemporaneo ha ottenuto il primo grande successo di critica (vincendo la Palma d’Oro come miglior film e miglior regia) delineando una storia vivida e grottesca, che si nutre di simboli celati con un ermetismo che non ha aiutato la pellicola ha ottenere un pari successo di pubblico, che ha a che fare con un film che non è né una commedia né un dramma, che vive di satira e scatta attraverso l’assurdo, cifra autoriale tra le più consolidate dei Cohen e a cui Barton Fink si abbandona con la grottesca progressione della trama.

Il protagonista infatti è un giovane commediografo ebreo che dopo aver riscosso il plauso unanime della critica di New York viene messo sotto contratto a Hollywood come sceneggiatore di film senza alcuna pretesa estetica, mansione in cui il brillante autore in rampa di lancio si cimenta  per compromesso, preparando così una pensione da intellettuale non oberato da preoccupazioni economiche.

Barton Fink è tuttavia scettico davanti al dorato mondo che lo aspetta, teme di smarrire la propria cifra poetica e gli anni migliori dell’ispirazione narrativa, preoccupazioni che l’incontro con la caricaturale figura del produttore Wallace Beery e il suo entourage non potranno che rafforzare. Proprio per questo il giovane talento della sceneggiatura cerca di mantenere un contatto con l’ambientazione popolare delle sue opere scegliendo di risiedere in un albergo fatiscente, popolato da figure dantesche come Chet, ossequioso receptionist che riemerge nella hall dai bui piani inferiori, e Pete, ascensorista/Caronte d’una pensione che da bizzarra diventerà sinistra e infine terrifica.

Saranno poi due figure dall’apparenza equivoca a rivelare al protagonista la vera faccia di Hollywood, infestata di irrefrenabili manie e folli individualismi, i personaggi estremi e opposti di Charlie Meadows, vicino di stanza che si spaccia per un bonario agente assicurativo, e W.P. Mayhew, mito giovanile di Fink ispirato alla figura di William Faulkner. A rendere meno claustrofobico il clima intorno al protagonista è Audrey, segretaria e compagna di Mayhew, e la donna ritratta in un piccolo e pacchiano quadretto nella stanza d’albergo, miraggio lontano dalla nauseabonda pensione e unica consolazione dopo l’incontrollabile, collerico e ferino finale (con un duello che annienta però un manicheismo altrove scontato) visione che si materializzerà a un Fink totalmente smarrito, al cui cospetto non avrà risposte, come all’Arte stessa che forse tale visione incarna.

Interpretato magistralmente da attori straordinari come John Turturro, John Goodman e Michael Learner e forse frutto dell’esperienza autobiografica dei fratelli Cohen, Barton Fink è un radicale e convincente invito a continuare a percorrere il fertile e reale terreno delle proprie visioni. Del mondo favolosamente effimero di Hollywood si condannano soprattutto i mostri indifendibili, annientati e spietati, che rifuggono o distorcono le manifestazioni più autentiche di quella curiosità per il comportamento e le emozioni umane che sono le fibre più vive di ogni storia e il dono più prezioso da cui l’artista è mosso, anche se non ne è perfettamente cosciente, proprio perchè non ne è perfettamente cosciente.

E neppure gli artisti stessi si salvano dalla feroce critica filmica, con l’egocentrismo autoreferenziale che getta una distanza tra se stessi e il proprio pubblico e inficia o travia la propria capacità di testimonianza. Da abbinare a I protagonisti di Robert Altman per completare un ritratto al vetriolo ancora più incisivo dell’efferata macchina di carriere, abiezioni e solitudini hollywoodiana.

Luca Buonaguidi

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